Tutti i movimenti politici nella storia hanno dovuto confrontarsi con il dissenso, in misura maggiore se sono diventati movimenti di massa. Nel caso del femminismo, partendo dal fatto che non c’è solo un femminismo ma molti femminismi come differenti vedute, differenti pratiche politiche, differenti composizioni sociali, il dissenso è una costante e questa è la sua potenza politica maggiore. Non siamo d’accordo, non pensiamo nello stesso modo e, nonostante ciò, confluiamo in questo che chiamiamo femminismo e la cui definizione e i cui limiti non sono proprietà di nessuno. Questa è la potenza maggiore e apparentemente, allo stesso tempo, la maggior debolezza. Femminismo è la parola che ci avvolge e accoglie politicamente ma i cui limiti sono diluiti e le cui radici sono molteplici.
L’idea che c’è una sola verità – e che ogni verità si esprime in antagonismi basati sulla logica formale che afferma che il positivo per essere tale è il contrario del negativo, il nero è il contrario del bianco, il bene del male – ci mantiene in una logica binaria dove la complessità non è possibile, è scorretta e non desiderabile, dove non è possibile che convivano non solo tre ma cinque o cinquantacinque possibilità e combinazioni di tutto. […]
Ciò che vi propongo è, né più né meno, di cambiare la matrice di discussione dal “cosa” al “come”, non per sostituire un contenuto unico a un modo unico, ma perché, se il modo unico di pensare è introiettato, il modo di fare è sempre, inevitabilmente, molteplice e diverso. È nel modo di fare che ci sono sempre molte possibilità, svariate ricette, infinite combinazioni. […]
Maria Galindo, Comune, 24 settembre 2024