Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, ci invita alla lettura del testo di Giuseppe Mosconi, Decostruire la pena. Per una proposta abolzionista, edito da Meltemi.
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È un libro ricco, coraggioso e militante quello di Giuseppe Mosconi che propone «modalità radicalmente alternative di risposta agli illeciti penali» (Decostruire la pena. Per una proposta abolizionista, Meltemi, pp. 242, euro 20). È sotto gli occhi di tutti la crisi drammatica del diritto penale, usato nella società post-moderna quale strumento tecnocratico del potere per dividere, escludere, incapacitare, neutralizzare. Il libro è un manifesto abolizionista che si muove lungo una storia di opere radicali della sociologia e della criminologia critica che vanno da Pene perdute di Louk Hulsman a Scarcerare la società di Alain Brossat, da Crime control as industry di Nils Christie sino a The politiics of abolition di Thomas Mathiesen.
L’intensità del volume sta nel tenere sempre insieme il doppio livello: da un lato quello della critica al diritto penale e al carcere come istituzione di controllo sociale, dall’altro quello della proposta della rinuncia definitiva al sistema penale. Mosconi propone di affidarsi a modelli di giustizia riparativa che siano effettivamente alternativi alla giustizia penale e non succubi del suo impianto repressivo o correzionalista. Nella sua visione la giustizia riparativa dovrebbe muoversi del tutto al di fuori del percorso penale. Se così non fosse ne esalterebbe i vizi, trasformando la riparazione in vera e propria pena aggiuntiva. Il carcere come pena non riesce, spiega bene Mosconi, ad assolvere ad alcune delle funzioni che la dogmatica penale gli avrebbe affidato nel tempo. È in crisi anche la stessa funzione rieducativa della pena, e ciò, spiega l’autore «intacca la sua immagine più progressista e avanzata». Tocca, dunque, a chi la difende dimostrare che essa ha ancora un suo senso e un suo spazio di applicazione. Spetta a chi crede al diritto penale e alla necessità della sanzione carceraria dimostrare che sono ancora la migliore tra le soluzioni possibili per anestetizzare i rischi di violenza.
Il libro suggerisce un’inversione sociologica dell’onere della prova. È sotto gli occhi di tutti come il carcere assomigli sempre di più a quella pena corporale alla quale avrebbe dovuto sostituirsi. Sovraffollamento, internamento di massa, diritti negati, tassi di suicidio venti volte superiori a quelli della società libera richiedono che si rifletta criticamente intorno alla crisi di senso e di ragione della prigione come pena. Mosconi conosce bene il carcere potendo sovrapporre lo sguardo profondo dello studioso e dell’accademico con quello empirico del militante, impegnato da decenni con Antigone, a guardarlo da dentro come osservatore. A partire dal suo doppio sguardo critico propone «un radicale rovesciamento, che porti finalmente al centro la necessità di decostruire le deformanti costruzioni penalistiche e penitenziarie». Un «salto di paradigma», dunque, da innestarsi inevitabilmente dentro una società complessivamente meno iniqua, meno ingiusta, meno classista. Essere abolizionisti significa mettere in discussione la società contemporanea dalle sue radici. È, quindi, un’utopia quella abolizionista?
Di certo costringe i difensori del diritto penale ad affidarsi non solo ad argomentazioni filosofiche e giuridiche, ma anche a sporcarsi le mani con l’esperienza di una storia che, dappertutto nel mondo, è fatta di afflizioni, dolore, violenza, abusi, diritti negati. Di fronte all’estremismo delle politiche della sicurezza, diventate un mantra per comprimere diritti e libertà, Mosconi mette a disposizione di studiosi e attivisti le sue riflessioni lungo decenni di impegno accademico e sociale.
Patrizio Gonnella, il manifesto, 21 gennaio 2025