Lo stato d’eccezione dell’Occidente …di Iain Chambers

Come sempre lucido e implacabile Iain Chambers ci richiama alle responsabilità dell’Occidente, nel passato e nel presente. Con buona pace di quegli sciocchi scribacchini del “narcisismo disperato” (come Federico Rampini), che leggono la storia con gli occhiali ideologici di chi non vuole scorgere un fallimento.

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In mezzo a questa ondata di violenza continua – ora il Libano è stato invaso, poi attende l’Iran e la Siria, per continuare a incendiare il Medio Oriente nella continuazione della cosiddetta autodifesa d’Israele – è forse il caso di fare un bilancio della portata di una situazione che è sfuggita di mano. Gli assi si stanno spostando, le mappe sono a pezzi. Non si tratta più di continuare come prima.
Stiamo assistendo a un genocidio, a un tentativo coordinato di pulizia etnica dei palestinesi. Siamo tutti coinvolti. Governi, partiti politici, mondo accademico e della ricerca – attraverso accordi e scambi (sebbene gli studenti stiano ora permettendo un cambiamento) e soprattutto la fornitura di armi e credito finanziario – continuano a sostenere un sterminio quotidiano per cancellare la presenza di un popolo dalle mappe e dalla memoria. Nel perseguire questo obiettivo, l’Occidente si trova ora al di fuori delle leggi che ha creato. I verdetti dei tribunali internazionali non vengono rispettati.

Come lo stato di eccezione decretato dal Führer, teorizzato dal giurista nazista Carl Schmitt e ampliato dall’insistenza di Giorgio Agamben sulla centralità del campo di sterminio nella costruzione della modernità, l’Occidente risponde ora solo a se stesso. Rifiuta le sue stesse leggi, sia quelle per i migranti stabilite nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo del 1948 sia per il massacro di Gaza che rientra nella Convenzione sul genocidio dello stesso anno. Da qualche tempo l’Occidente sta scivolando dagli altipiani morali alla palude della geopolitica brutale. L’olocausto nell’antichità significava il rogo di un corpo come sacrificio a una divinità. Oggi è la difesa della supremazia bianca che fornisce l’altare a tale atto. Il capitalismo razziale sta mettendo in atto la sua ultima scena nel Mediterraneo orientale.

Dopo aver scaricato in Palestina secoli di antisemitismo e di sensi di colpa per la Shoah (che c’entrano gli arabi?), ora sacrifica pubblicamente tutte le sue pretese etiche. Il bla bla della stampa e dei commenti televisivi si è trasformato in propaganda, mentre nelle strade distrutte di Gaza i giornalisti vengono eliminati e una cortina di silenzio cala sulle rovine fumanti e sui cadaveri bruciati.
L’Occidente rimane apparentemente inconsapevole della configurazione storica che ha creato e rifiuta qualsiasi responsabilità. È destinato a ritrovarsi sotto le macerie della sua superbia narcisistica.

Insistere sulla nostra responsabilità per lo sterminio che ci viene trasmesso in tempo reale in streaming e sui social media non solo fa crollare tutte le illusioni liberali che pretendono di proporre e promuovere un mondo migliore, ma ci porta a fissare l’abisso che il nostro progresso ha provocato. Se non si tiene conto dell’invito fanoniano di abbandonare l’Europa, non ci resta che registrare – come dice il cantante di musica country Tom Russell nell’azzeccata canzone On the Road to Nowhere – che «il fosso è in fiamme e non c’è un terreno più alto.

il manifesto, 25/10/2024.

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