Fanno pena. La politica in gabbia

Mentre l’Occidente si dedica alle guerre locali per riprendere la strada del neocolonialismo. Nei singoli Paesi si fa evidente la crisi della democrazia di cui le leggi repressive messe in atto dai singoli Stati sono l’aspetto più significativo. Viene messa in discussione il diritto di espressione, di manifestazione e di organizzazione. In presenza della crisi della democrazia rappresentativa l’agibilità politica viene riservata alla sola (insignificante) politica istituzionale. In Italia passa un “Ddl Sicurezza” che minaccia il diritto di “fare politica”: di dissentire, di protestare. Ne scrive Giuliano Santoro su il manifesto. Un governo di forcaioli che prende le mosse da una consolidata pratica repressiva che si è sviluppata nel tempo.

A noi non resta che partecipare sempre più numerosi alle azioni di lotta affinché siano costretti ad arrestarci tutti!

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“Sbattere il galera chi occupa le case e sgomberarle al di là delle chiacchiere di altri e dei processi politici, è un servizio agli italiani”- dice Salvini. […] Il pacchetto di norme che istituiscono nuovi reati e inaspriscono pene contiene praticamente tutto il campionario delle questioni sociali trasformate in emergenze da reprimere.

La maggioranza non si è fatta mancare un ordine del giorno che impegna il governo a istituire un tavolo tecnico per l’introduzione della castrazione chimica in Italia in caso di reati di violenza sessuale o di altri gravi reati determinati da motivazioni sessuali. È la ciliegina sulla torta panpenalista, che contiene altre forzature allo stato di diritto. Si è parlato, nei giorni scorsi, delle detenute madri che tornano in galera, dell’insensato giro di vite sulla cannabis light (pare molto caro al sottosegretario alla presidenza del consiglio Alfredo Mantovano), delle norme vessatorie contro la resistenza passiva per strada (evidentemente pensata per colpire quei pericolosi gandhiani degli ecoattivisti) o nelle carceri (particolarmente odiosa in tempi di suicidi e disperazione dietro le sbarre) o dell’aggravante pensata per punire le proteste se volte a impedire la realizzazione di un’opera pubblica o di un’infrastruttura strategica.

C’è anche l’articolo 28, che autorizza gli agenti di pubblica sicurezza a portare senza licenza alcune tipologie di armi quando non sono in servizio. Carabinieri, agenti della polizia, della guardia di finanza e della polizia penitenziaria potranno detenere senza licenza le armi elencate all’articolo 42 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (che risale al Regio decreto n. 773 del 1931): arma lunga da fuoco, rivoltella e pistola di qualunque misura, bastoni animati con lama di lunghezza inferiore ai 65 centimetri. O l’articolo 11, che, con il recepimento in Commissione di un emendamento della Lega, insegue le bolle mediatiche dei giustizieri youtuber (si pensi al fenomeno Cicalone) e introduce come aggravante quella di «avere commesso il fatto all’interno o nelle immediate adiacenze delle stazioni ferroviarie e delle metropolitane o all’interno dei convogli adibiti al trasporto di passeggeri».

Non mancano i pericolosi strascichi delle sciagurate scelte dei governi di centrosinistra che introdussero (il governo era quello di Paolo Gentiloni, ministro dell’interno era Marco Minniti) il Daspo urbano. Adesso il questore, in caso di reiterazione delle condotte considerate pericolose, può «disporre il divieto di accesso» alle aree delle infrastrutture di trasporto e alle loro pertinenze, come le stazioni, nei confronti di coloro che risultino anche solo denunciati o condannati anche con sentenza non definitiva nel corso dei precedenti cinque anni. Viene ampliata anche l’applicazione dell’arresto in flagranza differita prevista per chi viene accusato di lesioni personali a un pubblico ufficiale in servizio: adesso, guarda un po’, varrà anche nei casi in cui il fatto è commesso in occasione di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico.

Le destre non puntano solo a inseguire i facili consensi delle emergenze virtuali, quelle che sembrano costruire per nascondere i problemi reali, o a inventare nuovi nemici. Sembra vogliano davvero regolare i conti con la società e chi la anima, coi conflitti che la fanno vivere e sopravvivere. E che vogliano farlo svuotando a colpi di leggi repressive gli spazi pubblici e ogni forma di solidarietà reciproca e mutuo soccorso che si possa costruire, come accade in un picchetto antisfratto, davanti a una fabbrica a rischio chiusura, in un luogo di detenzione in cui si chiedono condizioni più umane. Un programma politico, più che un semplice giro di vite.

Giuliano Santoro, il manifesto, 19 settembre 2024

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