Tutti liberi. Il tribunale di Palermo non ha convalidato il trattenimento dei cinque richiedenti asilo tunisini che sabato scorso erano stati rinchiusi nel centro di Porto Empedocle. Quel giorno il questore di Agrigento aveva disposto la misura di privazione della libertà personale nell’ambito delle procedure accelerate di frontiera per la protezione internazionale. Lunedì il provvedimento era stato trasmesso alla corte del capoluogo siciliano dove ieri si sono svolte le udienze. Si tratta di un altro duro colpo all’obiettivo del governo di mettere dietro le sbarre i richiedenti che vengono da paese di origine ritenuti «sicuri». Come vorrebbe fare anche nei centri in Albania.
Due diversi giudici della «sezione specializzata in immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Ue» hanno stabilito che le motivazioni alla base della detenzione sono «carenti» perché mancano riferimenti alle situazioni individuali delle persone. «La facoltà di disporre il trattenimento rappresenta l’esercizio di un potere discrezionale, che va giustificato ed argomentato, anche in considerazione della circostanza che la misura incide sulla libertà personale dell’individuo», si legge in una delle decisioni.
Tutte concordano sul fatto che, affinché la norma possa essere ritenuta costituzionalmente orientata, la reclusione non può mai avvenire sulla base di «automatismi». Non solo, secondo il tribunale il rifiuto di versare la garanzia finanziaria, che tra l’altro due cittadini tunisini si sono detti disponibili a pagare entro i sette giorni previsti dalla legge, o la mancata consegna del passaporto, ovvero le due circostanze in cui si rimane in libertà, non vanno intese come alternative al trattenimento ma come cause generali di esclusione. Tradotto: se i richiedenti asilo pagano la fideiussione o mostrano il documento non possono essere reclusi, in caso contrario la detenzione è solo una possibilità. Deve comunque essere l’extrema ratio, valutata caso per caso in base alla situazione individuale della persona. Ed evidentemente nel provvedimento del questore di tutto questo non c’è traccia.
Il tribunale ricorda poi che l’autorità amministrativa ha comunque l’obbligo di considerare altre misure alternative al trattenimento, prima di disporlo. Ciò avviene per i migranti «irregolari» da espellere e dunque sarebbe irragionevole non fosse messo in pratica per i richiedenti asilo, la cui eventuale detenzione si basa su presupposti meno gravi. Quindi anche per il trattenimento in frontiera, nozione estesa oltre la sua valenza geografica da un discusso decreto di agosto 2019, vanno prima cercate altre misure meno coercitive. Per esempio l’obbligo di dimora o di presentazione alle autorità. Del resto la direttiva europea, citata dai giudici siciliani, parla chiaro e prevede il trattenimento «solo dopo che tutte le misure non detentive alternative sono state debitamente prese in considerazione».
Così nella struttura di Porto Empedocle, aperta in fretta e furia nella settimana di Ferragosto, rimane una sola persona. Un giovane tunisino di 23 anni, che secondo il suo avvocato ha problemi di salute e che al momento si trova in uno scenario distopico: praticamente in isolamento tra sbarre, reti e container roventi. Da lì rischia di finire direttamente su un aereo che lo riporterebbe nel paese da cui è fuggito rischiando la vita in mare.
Il suo trattenimento è stato convalidato giovedì, sempre dal tribunale di Palermo. Come sottolineato dal manifesto, quella decisione era incentrata su circostanze molto peculiari: pericolo di fuga e tentativo di sottrarsi ai controlli (sebbene su quest’ultimo punto siano poi emersi dei dubbi). Finora si tratta in assoluto dell’unica detenzione di un richiedente asilo per le procedure di frontiera. Il governo aveva già provato lo scorso autunno a imporre questo iter dietro le sbarre. I magistrati catanesi, però, avevano ritenuto la norma nazionale – poi finita in Cassazione, rinviata alla Corte di giustizia Ue e modificata a maggio dal ministero dell’Interno – in contrasto con quella europea. Per questo avevano deciso di disapplicarla, liberando i migranti.
Le novità arrivate ieri da Palermo avranno provocato molto nervosismo tra Viminale e Palazzo Chigi. Non solo perché proiettano pesanti ombre sul centro di Porto Empedocle, a cui il governo ha dato un’improvvisa accelerazione nelle settimane roventi dell’estate e per cui ha già messo a bilancio 787mila euro, ma soprattutto perché la norma per il trattenimento è la stessa dei centri in Albania.
Come potrà argomentare in quel caso che i richiedenti asilo soccorsi in alto mare non sono detenuti in maniera automatica? E quali alternative alla privazione della libertà personale potrà garantire nel territorio di un altro Stato, dove la giurisdizione italiana vale solo dentro un perimetro?
Sono domande a cui Giorgia Meloni e Matteo Piantedosi dovranno cercare rapidamente delle risposte, ammesso che i centri di Shengjin e Gjader entrino davvero in funzione. Tutta l’operazione rischia di essere un buco nell’acqua. Un costoso buco nell’acqua.
il manifesto, 28 agosto 2024