I precari della scuola: umiliati e sfruttati …di Luciana Cimino

150.000 precari nelle scuole italiane, licenziati, esodati, senza diritti, si contendono cattedre misteriose, in tutti gli angoli d’Italia. Senza certezze, senza graduatorie chiare, senza corsi pubblici di preparazione ai concorsi, senza graduatorie a scorrimento come in altri ambiti pubblici. Spendono migliaia di euro per prepararsi ad un lavoro incerto, schiacciato dall’improvvisazione di un ministero di incompetenti.
E nulla potrà cambierà se studenti, famiglie, docenti e società non daranno vita ad una stagione di lotte .

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«Siamo a un punto di non ritorno per la scuola italiana. È svilente, mortificante e inaccettabile questa rincorsa a una stabilizzazione che è utopica». Dopo la denuncia del manifesto sui corsi abilitanti a pagamento per insegnanti, sono arrivate altre testimonianze. Domenico, insegnante di italiano e storia in Puglia, precario da 12 anni: «Ho cominciato nel 2011, fino al 2020 non ci sono stati concorsi o, quantomeno, ci sono stati i concorsi solo per coloro già abilitati». Adesso che i concorsi hanno ricominciato a indirli, per lui (come per molti anni) non è cambiato nulla: «Sono al secondo concorso superato con il massimo dei voti ma per entrambi non è stata prevista una graduatoria a scorrimento, come invece in ogni altro ambito del lavoro pubblico. È raccapricciante e anomalo perché così ognuno di noi rischia di inanellare concorsi superati che però poi si tramutano in nulla di fatto, una cosa che esula da ogni principio meritocratico. Con la graduatoria a scorrimento si placano gli animi perché uno pensa che prima o poi sarà assunto e si darà pace».

A settembre dovrà frequentare i corsi abilitanti, sperare di ottenere una supplenza e prepararsi per l’orale dell’ultimo bando: «In parallelo alla professione, c’è anche una vita privata che legittimamente deve essere soddisfatta ma così di fatto nessuno di noi può permettersi neanche di chiedere un mutuo o fare passi importanti. Entrare di ruolo ormai è un terno al lotto. Tutta questa voglia di prostrarmi nuovamente a questa inconsolabile umiliazione non ce l’ho: il precariato lo sto vivendo male, va bene che la gavetta è necessaria però dovrebbe avere una fine. Dopo undici anni non devo dimostrare più nulla e lo Stato non può continuare a sfruttarmi in questo modo».
Anche lui costretto ad acquistare e frequentare un corso abilitante: per sua fortuna lo hanno ammesso all’Università di Bari sborsando 2 mila euro. «Se non paghi non fai i percorsi abilitanti e continuerai a sguazzare in seconda fascia – prosegue Domenico – con il paradosso che devo fare anche il tirocinio con dei docenti. In classe ci sto da undici anni, è un’umiliazione a oltranza. Perché queste vessazioni in ambito scolastico? Perché infierire in maniera così cinica e spietata?». Altri hanno dovuto rivolgersi alle università telematiche.

L’offerta rispetto a quelle pubbliche è competitiva anche perché i privati possono fare sconti e offerte o proporre pagamenti rateizzati. Le istruzioni sono chiare e il costo è diviso per pacchetti da 30, 36 o 60 Cfu (crediti). Non ci sono solo le più note, come la Link University, eCampus o Pegaso. Il decreto attuativo del ministro dell’Istruzione (e merito) Valditara, varato un anno fa, stabilisce quali enti possono erogare la formazione. Offrono corsi anche realtà come la calabrese Csu Academy o Mnemosine. Anche Il Corriere della sera ha investito in Mondoscuola «sezione del Corriere Academy dedicata a chi vuole intraprendere il percorso per diventare docente» come si legge sul sito. Un giro di affari enorme su una platea potenziale in continuo aumento.

Lorenza insegna a Roma, ha fatto la sua prima supplenza subito dopo la laurea, intanto ha continuato a studiare: dottorato a Parigi e due assegni di ricerca. Ora si prepara a rispondere ai quiz per l’abilitazione. «Mi sono iscritta alla eCampus in maniera rocambolesca ma non sembrano corsi compatibili per chi lavora: se mi chiamano per una supplenza a settembre cosa faccio? Il ministero adesso mi richiede ulteriori sforzi e competenze. In cambio di cosa? È un atteggiamento sadico e punitivo».

Al sadismo si aggiunge la vicenda kafkiana di quanti si sono iscritti ai corsi abilitanti dell’Università di Torino. Se in tutta Italia è previsto solo l’esame finale (che costa 150 euro), ai precari piemontesi tocca fare una prova per ogni materia. Viviana, precaria da 5 anni, con altri colleghi ha scritto una lettera aperta al rettore e ai sindacati: «È un aggravio di fatica inutile, un’enorme disparità. A saperlo prima molti di noi avrebbero fatto una scelta diversa, rischiamo anche di vederci assegnato un punteggio finale inferiore dato che farà media con le prove intermedie».
Come molti suoi colleghi con incarico fino al 30 giugno, in questo momento riceve il sussidio di disoccupazione (Naspi): «Non so come pagare la seconda rata, una mia collega addirittura è andata a chiedere un prestito».

La stanchezza è condivisa ma le pratiche di lotta no: «Non credo più alle mobilitazioni – dice ancora Domenico -. Tutti sui social protestano però poi quando c’è da fare la manifestazione nessuno scende in piazza ma è chiaro perché: in quattro anni ci hanno propinato concorsi con caratteristiche differenti, inevitabilmente si scatena una guerra tra poveri. Noi ormai percepiamo i nostri colleghi come dei potenziali rivali ed è terrificante». Lorenza denuncia: «Di questo si parla poco eppure ha un’urgenza politica notevole».

Luciana Cimino, il manifesto, 15 agosto 2024

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