C’è una guerra nel linguaggio, inteso come macchina per tradurre gli affetti e le percezioni in orientamenti, e in azioni. Il linguaggio brutalista dell’estrema destra contemporanea traduce la frustrazione di vivere in aggressione contro i più deboli, traduce l’umiliazione quotidiana in delirio persecutorio, e la disperazione in voglia di rivincita. Per capire cosa sia il linguaggio brutalista basta vedere come parlano Milei, Trump, o Jiménes Losantos: mentono come mitragliatrici, dicono una cosa e il suo contrario nel giro di un secondo, poi si offendono e attaccano, squalificano e insultano, indicano capri espiatori per il malessere. Vogliono solo vincere, e usano il linguaggio come arma di distruzione di massa.
Il linguaggio è brutale quando distrugge l’uguaglianza tra parlanti, il tempo di elaborazione della parola, l’apertura all’altro, il gioco delle distanze. Nel suo dire letterale, istantaneo e automatico, il linguaggio brutalista non è altro che il linguaggio dei media radicalizzato all’estremo. Il linguaggio è un virus secondo Burroughs. Il linguaggio brutale attiva questo virus che portiamo dentro. Gli affetti si oscurano, i corpi si irritano, i discorsi diventano crudeli. Siamo come posseduti. Impossibile discutere razionalmente con un posseduto.
Come proteggersi allora? La diserzione non può essere topologica, non si può limitare ad andarsene in un altro posto. Non c’è nessun luogo al di fuori del linguaggio. Là dove siamo, nel quartiere o nella scuola, a casa o al lavoro, e anche nelle reti, occorre trasbordare all’altra sponda del linguaggio. Chiamiamola conversazione. La conversazione è una pratica del linguaggio che presuppone l’uguaglianza tra parlanti: non c’è qualcuno che sa, ma ci siamo noi che parliamo e discorriamo in congiunzione. Questo richiede un tempo di elaborazione, non c’è alcun accesso diretto alla “cosa”, soltanto deviazioni e aggiramenti. Ogni parola apre uno spazio per l’altro: io parlo tu rispondi, noi pensiamo. Ogni parlante affina la sua voce singolare in una trama comune, di tutti e di nessuno. La conversazione rende possibile una elaborazione distinta degli affetti, può cortocircuitare la traduzione brutalista degli affetti, la possessione. Crea senso nel bordo tra l’insensato totale e i significati assoluti. Il cerchio protettore del linguaggio si delinea laddove si svolge la conversazione. Senza garanzie, la protezione si fa e si disfa, perché occorre di continuo riannodare la conversazione.
Cos’è la psicoanalisi? Una conversazione risanatrice, è la scoperta che il linguaggio è corpo, e che ci sono parole che commuovono e quindi curano. Cosa è l’educazione? Quando non si riduce all’atto di trasmissione tra chi sa e chi non sa, è un dialogo in cui si può produrre l’appropriazione singolare di un sapere. Cos’è l’amicizia? La lunga conversazione tra amici, come dice Hanna Arendt, che insieme danno senso a un mondo che non ha senso. E la politica? Potrebbe essere terapia educazione e amicizia se rinunciasse alla propaganda, alla parola strumentale e strumentale per eccellenza…
Non si tratta di rispondere al brutalismo di destra con un brutalismo di sinistra, competere con certezze e sicurezze, trincerarsi nei linguaggi-rifugio di coloro che sono già convinti, monologare dal lato corretto della storia, ma si tratta di aprire e ampliare gli spazi di conversazione, meglio se con persone sconosciute. La conversazione è ironica, ci permette di giocare con le nostre identità, le nostre opinioni, le nostre bandiere. Prendere distanza salvatrice rispetto a noi stessi, l’ironia antidoto contro la possessione.
Siamo animali di linguaggio. Il linguaggio non è solo un ponte tra me e te che lascia intatto quello che unisce, ma il mondo condiviso che ci afferra e ci trasforma. Non è solo la base della politica, ma l’esperienza politica stessa. Non la sovrastruttura, ma l’infrastruttura.
C’è una guerra nel linguaggio. Come proteggerci dalla possessione? Là dove si trova il pericolo cresce anche ciò che salva. Altra pratica di linguaggio, comunità di conversazione.
Comune-info, 10 luglio 2024, traduzione di Franco Berardi Bifo