Ci siamo permessi di “saccheggiare” un testo, apparso su il manifesto, dell’economista Emiliano Brancaccio. E’ uno scampolo di una riflessione sulle giravolte della borsa (che sembrano affannare anche chi in borsa non “gioca”) e svelano che sotto le quotazioni c’è il vuoto del capitale, ma cova la crisi, la recessione, che non scoppierà fino a quando c’è la guerra. Le guerre (e i “dopoguerra”) servono, da sempre, a salvare il capitale da crisi cicliche e strutturali.
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Sembrano lontani i tempi in cui i crolli di borsa venivano interpretati come segni propiziatori per il sovvertimento dell’ordine costituito. Oggi le masse tendono piuttosto a condividere le ansie dei grandi investitori. […]
Vediamo allora se sia il caso di temere per il futuro, viste le attuali turbolenze dei mercati. Il problema sta nella scelta del criterio di valutazione. Operazione non banale, considerata la pletora di ciarlatani che popolano le analisi di borsa.
Un criterio dotato di crisma scientifico tuttavia esiste. È il cosiddetto price earnings ratio – rapporto tra prezzi e dividendi – suggerito dal Nobel per l’economia Robert Shiller. In poche parole, si tratta di prendere il livello dei prezzi che le azioni hanno raggiunto sui mercati e di rapportarlo alla media dei dividendi staccati dagli azionisti negli ultimi dieci anni. Più alto è questo rapporto, più è probabile che le azioni siano sopravvalutate rispetto ai profitti annui che effettivamente riescono a garantire, e quindi più alto è il rischio di crolli del mercato. […]
Certo, l’indice di Shiller ha i suoi limiti. Per esempio, non tiene conto del volume dei debiti delle aziende quotate. Ma questo significa che si tratta di una misura ottimistica, nel senso che può sottovalutare il rischio di una crisi. […]
A ben vedere, tuttavia, c’è una ragione per cui la bolla speculativa dei corsi azionari potrebbe ancora resistere senza scoppiare. Sono i venti di guerra che tuttora imperversano nel mondo. L’impegno bellico richiede stabilità e consenso interno. La crisi finanziaria va allora per quanto possibile rinviata, almeno fino a quando perdura la crisi militare.
Finché c’è guerra c’è speranza sui mercati, potremmo dire. Un tempo l’avremmo considerato un altro degli scherzi grotteschi del capitalismo, un motivo in più per costruire l’alternativa di sistema. Oggi invece restiamo come sotto ipnosi dinanzi alle notizie. Un giorno il tonfo di borsa, il giorno dopo un massacro di civili in qualche angolo del mondo, il giorno dopo ancora la ripresa dei valori azionari.
Un rincorrersi di prezzi e di morti, finché persiste il vuoto di intelligenza collettiva necessaria a interrompere la giostra di pixel e di sangue.
il manifesto, 11 agosto 2024