Si sono incontrati negli Stati Uniti Netanyahu Biden e Trump, tre personaggi estremi della scena internazionale, araldi di morte, l’uno vuole abolire i palestinesi, l’altro vuole abolire i cinesi, passando per i russi, il terzo vuole abolire gli immigrati. E mentre si svolgono questi incontri il nostro pensiero va ai bambini di Gaza, che oggi sono vivi e che domani non lo saranno più.
Il caso di Netanyahu pone una questione nuova su cui si gioca il futuro. Sta nella risposta che egli ha dato alla Corte Internazionale di Giustizia, che sulla scia di precedenti risoluzioni dell’ONU ha intimato a Israele di ritirarsi dai territori occupati nella guerra del 1967, e cioè dalla Cisgiordania, che è l’attuale nome dell’antica Giudea e Samaria. La risposta di Netanyahu non solo ha escluso qualunque negoziato sulla destinazione finale di quella terra, ma ha inteso chiudere la questione una volta per tutte, ribadendo una posizione che sempre era stata del governo d’Israele ma che oggi si osa imporre a tutto il mondo. “Non si dà occupazione in una terra che è nostra” è il verdetto di Netanyahu. Causa finita. Ma in base a quale criterio, a quale principio, a quale diritto lo Stato di Israele può dire che tutta la Palestina dal mare a Giordano a Gaza appartiene allo Stato di Israele, e per esso al popolo ebreo?
Evidentemente non c’è nessun principio di diritto internazionale che può essere evocato, perché il titolo in base a cui Israele rivendica il potere sovrano esclusivo su quella terra è un articolo di fede: la promessa che secondo le scritture ebraiche Dio avrebbe fatto a Mosè, dopo la crisi del vitello d’oro, di dare al popolo ebreo una terra di conquista in cambio della sua fedeltà all’alleanza. Questa consegna da Mosè è passata a Giosuè che ha realizzato la promessa con una conquista militare al prezzo della devastazione dei popoli cananei e di stermini che avrebbero riguardato le città conquistate da Gerico a Ai.
Il problema è che questa tradizione viene da una lettura fondamentalista e letterale dei Libri Sacri e non corrisponde affatto a eventi effettivamente avvenuti, molti secoli prima che venissero raccontati da parte degli scrittori biblici. Secondo una interpretazione storica sempre più accreditata la penetrazione delle tribù ebraiche nella terra di Canaan non avvenne in modo violento e per mano militare, o perlomeno non in quella forma estrema, e d’altra parte sarebbe difficile attribuire al Dio di Israele comandi così brutali. I cosiddetti libri storici, storici non sono ma parlano di un amore di Dio che è oltre ogni sua espressione storica. La stessa figura di Giosuè è in discussione, perciò se ora Netanyahu per liberarsi dai palestinesi procede al genocidio e allo sterminio non è un nuovo Giosuè, ma è un leader di Israele che per la prima volta ricorre a queste misure, appellandosi ad una improbabile volontà divina.
Comune-Info, 28 luglio 2024