Hanno sparato a Donald Trump e l’hanno mancato.
Una violenza politica made in Usa: in quel paese su 46 presidenti 13 hanno subito attentati e 4 sono stati ammazzati, e poi Robert Kennedy, Martin Luther King, Malcom X, ecc.
E’ insopportabile la “distrazione” di chi non vuol vedere i malanni strutturali della democrazia degli Stati Uniti, dove su 340.000.000 di abitanti circa 2.200.000 sono detenuti e sono oltre 42.000 le persone che nel 2023 sono morte a causa di armi da fuoco. E’ l’unico “paese sviluppato” nel quale l’aspettativa di vita è andata diminuendo: tra il 2014 e il 2021 è passata da 78,9 a 76,3 anni. Ed è uno dei “paesi sviluppati” con uno dei più alti indici di mortalità infantile: 5,4 ogni mille nati vivi.
Ma questa è la democrazia che viene presa a modello e sono convinti che saprà superare anche questo, …per continuare così o peggiorare lentamente come tutte le democrazie rappresentative, sempre meno rappresentative e sempre più autoritarie.
Ancora più fastidiosa è l’ipocrisia degli appelli contro la violenza politica, a favore del confronto “civile”, che stigmatizza i fomentatori d’odio. Ma si omettono il soggetto e l’oggetto.
Noi non lo facciamo e vogliamo parlare della violenza politica senza tacerne le responsabilità:
La violenza politica è quella esercitata dal pensiero unico che sottende il mercato, nelle sue diverse forme, alle quali siamo obbligati a adeguarci. E’ quella del saccheggio delle risorse dell’altro mondo perpetrato da secoli dall’Occidente. Sono le guerre che senza sosta, da 70 anni, si combattono nel mondo con armi fabbricate negli Usa, in Europa, in Israele, in Russia e in Cina.
La violenza politica è racchiusa nei governi costruiti sull’aumento costante dell’astensionismo nell’indifferenza della politica e su leggi elettorali maggioritarie che cancellano il principio di “una testa un voto”, riducendo così gli spazi democratici e la rappresentanza.
La violenza politica è quella che attraversa una società nella quale i maschi (quasi sempre, fidanzati, fratelli, compagni, mariti) uccidono le donne che vogliono percorrere la strada che hanno scelto in autonomia. E’ quella che trasforma il lavoro quotidiano in una strage: migliaia di morti ogni anno attorno ai quali si fanno solo chiacchiere perché il capitale e la politica pensano che il “lavoro rende liberi”.
La violenza politica è quella che istituisce un sistema carcerario quale luogo esclusivo di punizione, nel quale i detenuti si imbottiscono di psicofarmaci trasformandoli in tossicodipendenti o si suicidano (56 dall’inizio dell’anno) o si praticano tecniche di punizione simili alla tortura e si infliggono pene che tolgono la speranza e la vita come l’ergastolo e il regime di 41bis.
La violenza politica è nell’Europa che costruisce muri alle frontiere, paga i gendarmi tunisini e libici per fermare, affondare i barconi e deportare i migranti. Quell’Europa che fa costruire campi di concentramento in Libia, Albania, Turchia e nei Balcani. Che di fatto cancella il Diritto d’asilo e calpesta il Diritto internazionale.
E’ di questa violenza politica che vorremmo parlare perché qui sono certi i soggetti coinvolti, sono le istituzioni economiche e politiche del capitalismo contemporaneo, e le vittime sono milioni di persone che non hanno voce perché non sono rappresentate a nessun tavolo o in alcun parlamento e le loro proteste vengono criminalizzate.
Anche noi, come scrive Lea Melandri, “speriamo che la logica del desiderio, come la ‘passione’ di Marx, la spinta ad autorealizzarsi da parte dell’uomo, lavori sotterraneamente, da vecchia talpa, e torni a sorprenderci, quando meno ce lo aspettiamo”.
Per ora coltiviamo la rivolta e questa potrebbe essere carica di rabbia. Ci sarà tempo per ascoltare gli appelli contro la violenza politica?
luglio 2024