La ricerca va decolonizzata …di Iain Chambers

Iain Chambers è un antropologo e sociologo britannico, esperto di studi culturali. Membro del gruppo diretto da Stuart Hall all’Università di Birmingham, è stato uno dei principali esponenti del celebre Centro per gli Studi della Cultura Contemporanea. Successivamente si è trasferito in Italia dove insegnava Studi culturali e postcoloniali all’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale” ed ha fondato il Centro per gli Studi Postcoloniali

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Forse, di fronte a uno Stato che persegue la pulizia etnica con intenzioni genocide, che rifiuta il diritto internazionale e si considera al di sopra delle decisioni delle Nazioni unite comportandosi come uno «Stato canaglia», è giunto il momento di parlare di come affrontare direttamente Israele. Se appartiene all’Occidente moderno e democratico, come sostiene, ha bisogno di una seria riforma o altrimenti di essere messo in quarantena.

La questione non deve essere semplicemente dominata dalle relazioni internazionali, richiede una risposta etica e democratica. Siamo chiari. Il sionismo, in quanto impresa esplicitamente coloniale – e i suoi fondatori non hanno avuto remore a riconoscerlo – non può essere democratico nelle sue intenzioni. La protezione del suo dominio etnocratico richiede la purezza razziale e l’apartheid, ora incarnati nel suo apparato giuridico e nella sua costituzione. L’opposizione a questa critica di Israele, invariabilmente etichettata come antisemitismo, è essa stessa un attacco alla democrazia e alla ricerca della giustizia storica nell’analisi sociale e politica.

In questo momento, l’ideologia sionista e la sua occupazione militare della Palestina stanno perseguendo, come in tutti i colonialismi, l’eliminazione dei nativi, proprio come in precedenza nell’imperium anglofono del Nord America, dell’Australia e del Sudafrica. La formazione violenta delle identità occidentali produce storie taciute e geografie dimenticate. Tuttavia, come ci insegnano i palestinesi, queste storie resistono e persistono. All’Orientale di Napoli il 23 aprile scorso si è tenuto un importante seminario su «Israele, l’industria delle armi e il ruolo dell’università».

Ora, questa narrazione non è limitata a un piccolo ma potentissimo Stato del Mediterraneo orientale. È stata adottata per decenni in tutto l’Occidente. Anzi, è stata storicamente coltivata fin dalle prime mappature del mondo all’inizio del XIX secolo, soprattutto da parte della Londra imperiale. Quello che l’intellettuale palestinese Edward Said, formatosi a Princeton e Harvard, ha definito in tempi più recenti «orientalismo», si è sedimentato nel senso comune dei pronunciamenti politici e culturali in Europa e Nord America: dalla Casa Bianca agli studi televisivi e ai giornali. Contestare questa configurazione di conoscenza e la sua gestione del globo significa inevitabilmente impegnarsi in una discussione con la nostra società e con la creazione di noi stessi. Come ha detto acutamente James Baldwin: «Proprio nel momento in cui inizi a sviluppare una coscienza, devi trovarti in guerra con la tua società».

Mi piace pensare che questo sia un riassunto preciso di quello che è il lavoro critico e analitico. È anche il momento in cui si devono fare i collegamenti impensabili, ormai che la cortina di fumo liberale evapora e assistiamo all’esercizio brutale del potere nudo, tra il campo di sterminio di Gaza e l’esecuzione giuridica dei migranti nel Mediterraneo.

La conclusione è che le istituzioni occidentali, gli enti governativi, le agenzie di ricerca e le università, insieme alla più ovvia partecipazione dei produttori di armi, delle aziende tecnologiche e dei servizi finanziari, sono parte integrante di un apparato coloniale. Se la trasformazione del conflitto in capitale è una cosa, sostenuta in modo ipocrita dalla ricerca del benessere economico, la sua analisi critica è un’altra. Gli studenti qui in Italia e, soprattutto, nei campus americani, stanno giustamente insegnando ai loro insegnanti e amministratori quest’ultima prospettiva. Per evocare Hannah Arendt, stanno tirando fuori dai denti della storia ufficiale una narrazione più onesta e democratica della condizione umana.

il manifesto, 27 aprile 2024

1 commento

  1. Seguendo la Scienza del Suolo insegnata dal Professor Paolo Pileri al Poli di Milano … e seguendo da anni l’Informazione Radio svizzera internazionale con ottimi Giornalisti che approfondiscono creando cultura … sono arrivato a conoscere Iain Chambers. Non posso che sottoscrivere la Sua ottima sintesi presentata qui sopra. Aggiungerei che forse dovremmo “prendercela” con l’atteggiamento integralista del GOVERNO israeliano ed in particolare del suo Primo Ministro Netanyahu che appare troppo sbilanciato verso le destre estreme e gli interessi personali (stare lontano dai procedimenti giudiziani nazionali e internazionali, una volta che uscisse dal Governo). Alla fine il Governo israeliano attuale non esprime tutto il Popolo ebraico, pur che l’attacco terroristico di Hamas due anni fa abbia focalizzato un odio esagerato. My two cents.

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