L’anno orribile del Sudan, 23 mila morti e non è finita
È passato un anno – lo scorso 15 aprile 2023 – da quando violenti combattimenti hanno contrapposto l’esercito sudanese (Fas), guidato dal generale Abdel Fattah Al-Burhan, alle Forze di Supporto Rapido (Rsf) del generale Hamdan Dagalo (detto Hemedti). Da allora nessuna mediazione è riuscita a porre fine a un conflitto che ha provocato, fino ad oggi, almeno 23mila vittime e oltre 10 milioni di sfollati interni o rifugiati nei paesi vicini: Egitto, Libia, Ciad, Repubblica Centrafricana e Sud Sudan.
Ufficialmente la guerra è iniziata dopo lunghi mesi di blocco per l’integrazione dei paramilitari delle Rsf nell’esercito regolare. La mancata regolarizzazione ha innescato scontri armati che secondo le prime dichiarazioni di al-Burhan, sarebbero durati «meno di due settimane», ma che, in pochi mesi, si sono estesi dalla capitale, Khartoum, a tutto il paese.
In una recente dichiarazione, il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, si è detto «costernato dalla violenza» che vede il Sudan ormai in preda a «una guerra totale», con combattimenti diffusi a Khartoum, ma anche ad ovest nel Darfur, nel nord e nel sud del Kordofan, così come nello stato del Nilo Azzurro, con un «totale disprezzo per i diritti umani».
Sul versante della mediazione, le azioni intraprese si scontrano con l’indifferenza dei due schieramenti. A poco sono valsi in questi mesi gli sforzi da parte dell’Arabia Saudita, degli Stati Uniti e dell’Autorità intergovernativa per lo sviluppo (Igad) – che raggruppa i diversi stati del Corno d’Africa – per «portare le due fazioni ad una tregua, con l’obiettivo di proteggere i civili e garantire l’accesso umanitario».
Riguardo alla situazione dei profughi interni e dei civili, l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Volker Turk, ha indicato che «il Sudan è diventato un incubo vivente», con quasi la metà della popolazione (25 milioni di persone) che ha «urgente bisogno di cibo e assistenza medica» e oltre l’80% degli ospedali distrutti, come indicato anche dall’Ong italiana Emergency presente con diverse strutture sanitarie nel paese.
«Oltre 10 milioni di bambini sono stati ripetutamente esposti a violenza mortale in tutto il Sudan dall’inizio delle ostilità, una cifra sconcertante che rappresenta il numero più alto di bambini esposti nel mondo» ha indicato Turk.
Accuse di crimini contro l’umanità da parte di Amnesty International, che ha condannato entrambe le fazioni riguardo alle «violenze indiscriminate» nei confronti di civili, con «bombardamenti e armi chimiche» utilizzate nelle aree urbane o di rifugio dei profughi, anche qui nel più totale disprezzo del diritto internazionale.
Particolare attenzione viene rivolta verso il Darfur. L’ultimo studio pubblicato da Acled – Ong specializzata nell’analisi dei conflitti armati – dipinge un «quadro terrificante» della brutalità delle Rsf proprio in quella regione, dove continua inesorabile la «pulizia etnica». In particolare contro i membri del gruppo non arabo dei Massalit, con città come Geneina – capitale dello stato del Darfur occidentale – dove sono state uccise «almeno 15mila persone». Il report indica anche l’utilizzo della «violenza sessuale come arma di guerra», con centinaia di casi di donne e ragazze violentate da elementi delle milizie agli ordini di Dagalo.
Condanna da parte delle agenzie umanitarie – in questo caso nei confronti di entrambe gli schieramenti – anche riguardo «ai ripetuti saccheggi e al blocco delle forniture degli aiuti umanitari», con attacchi continui contro gli operatori. Il Programma alimentare mondiale (Pam) ha recentemente dato l’allarme in vista di una possibile carestia nel paese, con una risposta umanitaria ancora inadeguata – solo il 5% del fabbisogno finanziato – e la prospettiva di altri milioni di profughi nei prossimi mesi.
«Gli autori delle orribili violazioni dei diritti umani devono essere chiamati a risponderne, senza indugio» – ha indicato Turk – «e senza indugio, la comunità internazionale deve concentrare la propria attenzione su questa crisi. Il futuro del popolo sudanese dipende dalle nostre azioni nel cercare di fermare questo massacro di civili e di fornire gli aiuti umanitari ai profughi».
Stefano Mauro, il manifesto, 14 aprile 2024