Tra qualche settimana sarà pubblicato il nuovo Rapporto del SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute) con i nuovi dati sulla spesa militare mondiale. A due anni dall’inizio della guerra in Ucraina e a 5 mesi – dopo l’incursione terroristica di Hamas – dall’avvio della carneficina su Gaza, la preoccupazione per l’escalation delle guerre nel mondo e per l’aumento delle spese militari è sempre più forte. Ricordiamo ancora l’ultimo dato disponibile: oltre 2.100 miliardi di dollari di spese per armi, di cui il 40% detenute dagli Stati Uniti e il 70% dai paesi della NATO.
In questo contesto sono avvenuti recentemente due episodi molto preoccupanti. In Italia, la decisione della maggioranza del governo di modificare, rendendo più estensive le maglie dei dispositivi di esportazione, la legge 185 che regola il trasferimento dei sistemi d’arma dal nostro Paese al resto del mondo. In Europa, la decisione di escludere le spese per la difesa dal Patto di Stabilità. Ricordiamo ancora che nella scorsa legislatura la Camera dei deputati votò una risoluzione parlamentare per portare al 2% del PIL la spesa militare italiana. E in questo senso il governo italiano sta procedendo.
Il gruppo Leonardo, che dedica gran parte del suo business alla produzione e vendita dei sistemi d’arma, ha visto crescere nel 2023 i suoi ricavi dal 3,9% al 15,3%. Il valore delle azioni di Leonardo è cresciuto in un anno dell’88%. Visto che si parla di extra-profitti per banche ed energia, forse sarebbe il caso di includere tra i beneficiari degli extra profitti anche le aziende che fanno affari sulle guerre. Tra l’altro Leonardo ha visto declinare i suoi investimenti nelle produzioni civili (aumentando quelli del settore militare) e i fantasmagorici posti di lavoro promessi (si è arrivati a prospettare fino a 10mila nuovi posti di lavoro) dalla produzione dei cacciabombardieri F35 si sono rilevati un clamoroso bluff.
Fermare le guerre e ridurre le spese militari vanno di pari passo. Bisogna disarmare la nostra economia, riconvertendo l’industria bellica. Invece di costruire elicotteri con i mitragliatori e cannoncini, si possono fare elicotteri per l’elisoccorso. Invece di cacciabombardieri F35, aerei per spegnere gli incendi. Invece dei sistemi di puntamento dei carrarmati Ariete, le apparecchiature per la TAC. E’ possibile ridurre le spese militari, riconvertire l’industria militare, creando nuovi posti di lavoro. Invece di produrre strumenti e congegni che servono in guerre sempre più sanguinose, si possono produrre (con la stessa tecnologia) strumenti e congegni che servono a salvare la vita delle persone, spegnere gli incendi, creare posti di lavoro. E’ questa l’economia di pace che vogliamo.
Giulio Marcon, Sbilanciamoci!, 11 marzo 2024