Il “diritto al giudizio”

Un anno fa è scomparso Franco Rotelli, uno dei collaboratori di Basaglia a Trieste. E’ stato un costruttore di alternative al manicomio e ha immaginato il lavoro della “città della cura”.
Qui vi proponiamo (apparso su
il manifesto) il suo intervento al IX convegno nazionale dell’Associazione italiana dei Professori di Diritto Penale, del 2021, perché in questi giorni viene presentata alle Camere una proposta di modifica del Codice penale, sul superamento della non imputabilità per gli autori di reato con disturbi mentali. (avevamo già affrontato il tema, se ne trovano i testi nella categoria “benicomuni&salute&territorio”)

“Ho molte titubanze a pensare cosa dirvi. Perplessità che derivano dalla posizione sostanzialmente e probabilmente molto “elementaristica” che ho, che abbiamo a Trieste, su questa questione del «doppio binario» di giustizia, dell’imputabilità e del trattamento delle persone con problemi di salute mentale.

Da molti anni, noi sosteniamo che il tema dell’incapacità totale di intendere e di volere della persona al momento di commettere il reato non esiste. Le persone non arrivano mai a questo stato di incomprensione del fatto che stanno commettendo.
Riteniamo quindi che il doppio binario sia una modalità da eliminare. Riteniamo che tutti gli articoli del codice di procedura penale che abbiano a che fare con la pericolosità sociale, con la non imputabilità totale e con la totale incapacità di intendere e di volere vadano superati. Mantenendo però la possibilità di giudicare come fortemente ridotta la capacità di intendere e di volere, in determinati casi, e la necessità, in tutti i casi in cui si rileva una sofferenza mentale significativa, di ricorrere in modo più ampio possibile a misure alternative alla detenzione.

Quindi il giudizio, stare in giudizio, essere giudicati, essere riconosciuti come persone e quindi essere sanzionati se ritenuti colpevoli di quel gesto, di quel fatto, di quel reato. In sede di trattamento essere riconosciuto, se è il caso, come persone portatrici di un grave stato di malessere mentale e quindi come tali trattati e come tali immessi in percorsi alternativi alla detenzione, in percorsi di cura, di sostegno con programmi di trattamento e riabilitativi disegnati sulla particolare storia di quella persona.
Quei percorsi che le perizie psichiatriche dovrebbero indicare. Non dovendo più indicare, le perizie psichiatriche, risposte a domande a cui Io psichiatra non è in grado di rispondere. Cioè, se la persona è o era pericolosa, se la persona è o era capace. Sono domande prive di risposte scientificamente fondate.
Mentre invece può essere che la perizia psichiatrica possa dare un contributo positivo ai percorsi di cura, una raccomandazione appropriata in base alla valutazione dello stato di sofferenza mentale di una persona, indicazioni appropriate in sede trattamento dopo il giudizio.
Ma il giudizio deve esserci, al giudizio nessuno deve essere sottratto perché tutti siamo cittadini, nessuno escluso e come cittadini abbiamo il diritto/dovere di essere giudicati.

Questo è quanto noi pensiamo, questo è quello che riteniamo, in perfetta buona fede, frutto di esperienza e pluridecennale rapporto con persone con problemi psichiatrici e con un immaginario che molto evidentemente ha a che fare con la possibilità di recupero delle persone.
Recupero delle persone che può avvenire solamente se a esse viene riconosciuta una capacità. Una capacità, anche residuale, ridotta, a volte fortemente ridotta, ma sempre presente e che su
questa capacità si possa lavorare per immaginare un trattamento, una cura, un’emancipazione, un futuro che tenga conto del reato ma anche della possibilità di una vita che deve continuare.

Tutto qua quello che noi pensiamo. Frutto di almeno mezzo secolo di impegni ed esperienze sul campo anche in situazioni di apparente estrema incomprensibilità”.

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