Il sistema agricolo europeo si basa su due fattori: i contributi pubblici e il lavoro super sfruttato dei braccianti agricoli (in larga parte immigrati). La “questione agraria” è irrisolta e si aggrava con l’incapacità della politica di avviare in modo democratico politiche agricole rispettose dell’ambiente. Corporativismo e populismo nascondono i conflitti di classe, la crisi della democrazia e il degrado dell’ambiente.
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Le proteste degli agricoltori si sono diffuse in diversi paesi europei: particolarmente forti in Romania, Belgio e Germania (dove si sono attivate da dicembre), si sono palesate anche in Francia, Italia, Romania, Lituania e Grecia. Talvolta con grandi numeri: il Corriere ha definito le manifestazioni che sono arrivate ad occupare il centro di Berlino “la più grande protesta che il paese abbia visto dal dopoguerra”.
Le motivazioni sono diverse, fondendo questioni generali con specificità nazionali. In Germania, ad esempio, un buco di bilancio determinato da una sentenza della Corte costituzionale – che ha dichiarato nullo l’utilizzo di una autorizzazione all’indebitamento per riempire un fondo l’anno successivo per obiettivi diversi – ha spinto il governo a tagliare sussidi per il carburante ad usi agricolo e a istituire una nuova tassa per tali veicoli. Le motivazioni generali riguardano le difficoltà economiche degli agricoltori, i costi crescenti, la concorrenza eccessiva da altri paesi, la burocrazia crescente e le norme della Ue a finalità ambientale.
Queste ultime hanno richiamato l’attenzione dei media, spingendo ad una facile narrativa in cui l’ambientalismo della Commissione si scontra con la protesta dal basso – dipinta, a seconda dei casi come la genuina espressione di ceti popolari o l’egoismo piccolo-borghese di destra (citando, in tal senso, il sostegno di partiti e gruppi classificati come destra radicale).
Per restituire la complessità della situazione si devono invece citare tre ordini di fattori, che restituiscono alcuni dei nodi strutturali sottostanti alle proteste.
Il primo è la mercantilizzazione del settore in un quadro di crescente concorrenza, che favorisce le aziende agricole più grandi (si pensi alla distribuzione iniqua delle risorse comunitarie della Pac) con tecniche produttive sempre più dipendenti da pacchetti tecnologici elaborate dai giganti dell’agrobusiness. Il mondo tradizionale dei contadini e le piccole imprese sono sempre più marginalizzate ed indebitate. Fenomeno mondiale ma che si intensifica nel continente con la Ue.
Il secondo è la concorrenza sempre più incrementata da vari accordi di libero scambio come il Ceta (Ue-Canada, in applicazione provvisoria), Ue-Mercosur (con vari paesi dell’America Latina, non ancora in vigore). L’opposizione a tali trattati – che la stampa ha visto bene di glissare – è esplicita, ed ha spinto il ministro francese delle Finanze ad esprimere la sua contrarietà all’ultimo, promettendo l’opposizione della Francia.
Il terzo è la oscillazione dei prezzi dei prodotti agricoli e dei loro fattori produttivi, in specie i fertilizzanti. Il problema è di natura finanziaria, e gli anni seguenti lo scoppio della crisi del 2007-08 ne ha dato una illustrazione eloquente. I prezzi delle derrate alimentari si sono impennati perché nelle maggiori borse mondiali c’è un interscambio di prodotti finanziari legati ad esse.
Quando un’attività che è del pari coinvolta in tali dinamiche vede una crisi, il capitale finanziario si volge ai settori non ancora toccati da essa. Così i famosi derivati (prodotti finanziari il cui valore deriva da una marca sottostante) sulle materie prime vedono una domanda galoppante e si attivano i meccanismi delle bolle finanziarie: lo compro nella aspettativa di rivenderlo a un valore più alto. Così i beni materiali vedono oscillazioni ampie dovute a tali logiche puramente speculative. Se ciò era chiaro anche dieci anni fa, lo conferma icasticamente uno studio recentissimo (Manogna-Kulkurni 2024) secondo cui «maggiore è il grado di finanziarizzazione dei prodotti agricoli, più drammatica è la volatilità dei loro prezzi e più significativo è l’impatto negativo sulla sicurezza alimentare».
Se il costo dei beni agricoli è stato oscillante, quello dei fertilizzanti è esploso a motivo dell’aumento del prezzo del gas con la guerra di sanzioni lanciato da Usa e Ue contro la Russia. Per citare un articolo di Politico «i margini di profitto degli agricoltori sono stati indeboliti da periodi di espansione e recessione non solo nei prezzi ottenuti dai loro prodotti, ma anche nei costi di produzione».
La nuova protesta sociale contadina, come vediamo, viene da lontano, e qualche contentino sarà difficile che basti.
Matteo Bortolon, il manifesto, 3/2/2024