Africa. Anno nuovo debito vecchio …di Marco Bersani

Ancora una volta l’attenziona torna alla questione del debito in Africa. Così la Banca mondiale tiene sotto ricatto i paesi africani, così il nuovo colonialismo occidentale tiene le politiche economiche degli stati africani sotto controllo per l’estrazione delle materie prime.
Mentre la Meloni farfuglia di un
piano Mattei per l’Africa noi chiediamo l’abolizione del debito dei paesi africani quale risarcimento del saccheggio di uomini e risorse agito dall’occidente coloniale per duecento anni!

Su il manifesto del 6 gennaio Marco Bersani ci fornisce le ragioni di queste richieste, che devono diventare una “lotta globale”.

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L’anno nuovo si apre con il default dell’Etiopia: poco prima di Natale, il governo del secondo paese più popoloso del continente ha dichiarato di non poter pagare la rata di 33 milioni di dollari ai fondi pensione e altri creditori del settore privato che detenevano il relativo bond.

Il fallimento dell’Etiopia è il terzo registrato in Africa dopo la pandemia: aveva aperto le danze lo Zambia nel novembre del 2020 e lo aveva seguito il Ghana nel dicembre 2022.
A far precipitare la situazione hanno contribuito da una parte gli strascichi della crisi del Covid-19, con ampliamento del deficit di bilancio e rallentamento della crescita economica, dall’altro il rialzo dei tassi di interesse deciso dalla Federal Reserve degli Stati Uniti, che ha avuto effetti devastanti sui debiti esteri denominati nel biglietto verde.

Come è facilmente intuibile, non si tratta di casi isolati ma di una situazione che riguarda l’intero continente: secondo i dati della Banca Mondiale, la percentuale di paesi africani ad alto rischio o già in situazione debitoria è passata dal 27% nel 2015 al 55% nel giugno 2023, mentre il peso del debito dei paesi dell’Africa subsahariana, ovvero le somme destinate al pagamento degli interessi, è passato dai 59 miliardi del 2012 ai 109 miliardi attuali.
A questo quadro, va aggiunto il cambiamento nella composizione del debito, che ha visto una netta diminuzione della quota dei prestiti cosiddetti “agevolati” previsti dagli “aiuti pubblici allo sviluppo” e un aumento esponenziale dei prestiti bilaterali contratti da creditori privati. Rendendo il quadro ancor più vulnerabile: sempre seguendo i dati della Banca Mondiale, il costo degli interessi sul debito dell’intera regione ha raggiunto nel 2022 il 31% delle entrate ed è già prevedibile un ulteriore balzo in avanti nel prossimo biennio.

Un quadro pesantissimo che, pregiudicando qualsiasi investimento pubblico da parte dei governi dei paesi africani, impedisce qualsivoglia inversione di rotta in direzione della sempre più necessaria giustizia climatica e sociale. Riproducendo sotto altre vesti -le carte di credito al posto dei carri armati – le dinamiche coloniali di estrattivismo, predazione dei beni comuni, sfruttamento e povertà che da sempre caratterizzano la relazione fra il mondo ricco e il continente africano.
Nessuna crisi eco-climatica può essere affrontata senza l’annullamento del debito, perché l’accettazione dello stesso significa predisporsi al suo pagamento o attraverso questa crescita economica (che peggiora la situazione ecologica) o attraverso la drastica riduzione delle spese in salute, istruzione, servizi pubblici e diritti.

Vale la pena riportare qui le parole pronunciate il 29 luglio 1987 da Thomas Sankara, rivoluzionario e presidente del Burkina Faso, al vertice dell’Organizzazione dell’Unità Africana ad Addis Abeba, in Etiopia: «Il debito non può essere rimborsato, innanzitutto perché se non lo rimborsiamo, i prestatori non moriranno. Questo è certo. Ma se ripaghiamo, saremo noi a morire. Anche questo è certo. Chi ci ha portato all’indebitamento ha giocato d’azzardo come in un casinò. Finché hanno avuto guadagni, non c’è stato dibattito. Ma ora che subiscono delle perdite, chiedono il rimborso. E parliamo di crisi. No, signor presidente, hanno giocato, hanno perso, questa è la regola del gioco e la vita continua».
Il discorso di Sankara si concludeva con un fosco presagio: «Se il Burkina Faso è il solo a rifiutarsi di pagare, io non sarò più qui per la prossima conferenza» e, infatti, fu assassinato tre mesi dopo da un complotto interno, sostenuto da Francia, Usa e Libia.

Da allora sono passati 40 anni, ma se l’Africa non imbocca il sentiero tracciato da Sankara ogni “passo avanti” sarà solo verso il baratro.

Marco Bersani, il manifesto, 6 gennaio 2024

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