C’è un numero che caratterizza il 2023 penitenziario: 10.000. Sono almeno 10 mila le persone detenute in più rispetto alla capienza regolamentare delle carceri italiane. Numeri freddi che significano: condizioni igienico-sanitarie deteriorate, riduzione delle possibilità di contatto con gli operatori sociali, tensioni, stress, assenza di spazi vitali. Quando i tassi di sovraffollamento divengono così alti ogni detenuto perde la sua identità ed è ridimensionato a numero di matricola. Viene spersonalizzato, così compiendo quel processo di istituzionalizzazione coatta che costituisce, malgrado la buona volontà di molti operatori, l’essenza della risposta carceraria.
Il racconto dell’ultimo anno è all’insegna della frenesia punitiva e disciplinare del Governo che è tracimata oltre il sistema penale, andando a colpire anche altri mondi come quello della giustizia minorile, della scuola, dell’immigrazione. Sono finiti sotto il mirino della repressione: donne detenute in stato di gravidanza, minorenni che commettono reato, attivisti politici, detenuti che disobbediscono con forme di resistenza passiva, studenti, consumatori di sostanze. Dunque, ben si comprende quale è il target dell’azione repressiva: da un lato i soggetti socialmente vulnerabili, dall’altro i più giovani. Evidentemente si teme il sapere critico delle nuove generazioni.
Patrizio Gonnella, Presidente di Antigone, il manifesto
Sono la Lombardia (con 8733 detenuti in 6152 posti regolamentari), il Lazio (6465 reclusi in 5334 posti) e la Campania (7303 persone per 6171 letti) le tre regioni a cui va il primato del sovraffollamento carcerario, tornato di nuovo a livelli di allarme. Non a caso sono le regioni più popolose d’Italia, con le metropoli più grandi, dove il consumo di stupefacenti è maggiore e dove sono più comuni i reati per droga.
È un dato – disponibile sul sito del Dipartimento di amministrazione penitenziaria (Dap), aggiornato al novembre 2023 – che colpisce, soprattutto se associato all’allarme lanciato ieri dalla Direzione centrale dei servizi antidroga (Dcsa) secondo la quale negli ultimi anni si registra in Italia un vero e proprio boom del consumo di crack. In particolar modo, ad abusare della sostanza stupefacente, che è un parente povero della cocaina ma con tutt’altro tipo di effetto, sarebbero le fasce più deboli della popolazione, immigrati compresi. A completare il quadro, va ricordato che nel nostro Paese il 30% dei detenuti sconta in carcere una pena per violazione del Testo unico sugli stupefacenti, Dpr 309/1990, a fronte della media europea del 18% secondo l’European Monitoring Centre for Drugs and Drug Addiction.
Il polso della situazione lo si rileva non tanto dai dati dei sequestri di crack che pure, come riferisce la Dcsa, è raddoppiato nel giro di quattro anni, ma soprattutto dall’esperienza degli operatori dei Serd, delle comunità terapeutiche e delle unità di strada. «Il dato indiziario dei sequestri – spiega Leopoldo Grosso, presidente onorario del Gruppo Abele – va preso con le pinze perché dipende anche dal fattore fortuna».
In ogni caso, secondo i dati ufficiali, si è passati da 6,9 chili di crack sequestrato del 2019 a 15 kg circa del 2023 (fino al 1 dicembre), con un aumento costante negli anni. «In Campania – spiega all’agenzia LaPresse Salvatore Leotta, tenente colonnello della Dcsa – c’è la metà dei quantitativi nazionali sequestrati, 8 chili. Ma non vogliamo creare allarmismo, perché i quantitativi in assoluto sono bassi – chiarisce il rappresentante dell’antidroga – ma il raddoppio è comunque indice di qualcosa».
In effetti si tratta di piccoli numeri se confrontati, per esempio, con le 26 tonnellate di cocaina sequestrate nel 2022, secondo il report della Polizia di Stato. Ma è vero che è un fenomeno in crescita, evidente soprattutto nei quartieri più poveri delle grandi città o tra le fasce di popolazione più emarginata. Negli ultimi anni, come mai prima, infatti, non è raro notare negli anfratti metropolitani italiani i resti del “kit” per l’inalazione dei cristalli di crack. «È cocaina trattata con ammoniaca, va sciolta e inalata. Rispetto alla cocaina sniffata – spiega Leopoldo Grosso – aumenta il rischio del danno, perché l’effetto è più forte e immediato, e provoca un bisogno compulsivo a ripetere il consumo. Costa meno della cocaina: dai 5 euro a dose nel mercato di Ballarò a Palermo, fino ai 40 euro per una dose abbondante a Milano e nelle metropoli del nord Italia. Di solito viene usata per le “abbuffate” del fine settimana, ecco perché l’ultimo posto.
Eleonora Martini, il manifesto,