lntervista al collettivo della Gkn
Appello ai gruppi di supporto, movimento sindacale, realtà solidali, artiste/i, intellettuali.
In Gkn sono ripartiti i licenziamenti. Ad oggi saranno definitivi il primo gennaio 2024.
L’assemblea permanente per due anni e mezzo non si è piegata. Verrebbe soppressa per licenziamento. Non abbiamo modo di ricapitolare qua tutti i passaggi della nostra lotta, tutti i trucchi e inganni messi in campo contro di noi. Ci limitiamo a dire questo: avevamo chiaro quale fosse il loro calcolo. Ma non abbiamo avuto la forza di impedirlo. Avevamo e abbiamo ragione, che è la base della forza. Ma non è la forza in sé.
Due anni e mezzo si sono rivelati un tempo lunghissimo per una assemblea permanente, brevissimo per cambiare un intero sistema.
Né abbiamo tempo e modo di entrare qua nel potenziale intreccio di interessi tra il vecchio fondo speculativo, nuova proprietà e probabilmente un pezzo di politica.
Basti dire questo: da anni sul sito di Gkn Firenze manca un piano industriale e ad oggi nessuno sa cosa si vuole fare degli 80mila metri quadri di area dello stabilimento.
L’ora dei nostri licenziamenti – che abbiamo chiamato ora X – sopprime definitivamente una storia sindacale e industriale per dare vita a una operazione immobiliare. E’ il completamento definitivo della delocalizzazione.
Qualcosa che diventa ancora più intollerabile in un territorio che è stato appena alluvionato. Forse se qua ci fosse stato il verde, come prima della costruzione di questa fabbrica e di tanti altri capannoni, l’acqua esondata si sarebbe sfogata nei campi. Il verde non c’è più in nome del “lavoro”. Il lavoro ora ci viene tolto. Rimangono le ferite, le case esondate, il dover accettare ogni volta un lavoro sempre più precario e povero.
Abbiamo un progetto industriale, elaborato faticosamente dal basso. Ma senza un intervento pubblico, diretto ad esempio a rilevare lo stabilimento e a metterlo a disposizione della progettualità sociale e operaia, tale progetto rischia semplicemente di evaporare.
Gkn – con i suoi 422 posti di lavoro bruciati – non è più importante: ad esempio, dei 3 milioni di precari o dei 5,8 milioni di poveri assoluti. Del dedicare il proprio tempo e sforzi a fermare l’escalation bellica mondiale, il massacro a Gaza, o a gridare che “se sarò io, voglio essere l’ultima”.
Eppure, nostro malgrado, siamo un caso “esemplare”. Esempio del fatto che “loro” in un modo o nell’altro vincono sempre. O del fatto che “noi” possiamo concepire e praticare un’alternativa.
Sia come sia, arrivati fin qua, abbiamo il dovere morale di tentare tutto il possibile. Hanno scelto non a caso che l’ora X sia il primo gennaio. Dicembre sarà un mese di convergenza crescente. Organizzeremo momenti di lotta e un nuovo Insorgiamo tour. Ma siamo comunque chiamati a a tentare la mobilitazione impossibile il 31 dicembre. Nel tempo che dovrebbe essere della spensieratezza, del riposo o di eventi ludici.
Anche se i licenziamenti fossero ritirati (o più banalmente rinviati), lo scopriremmo troppo a ridosso del 31. Per cui, qualcosa in un modo o nell’altro, quel giorno, dovrà accadere, dovremo tentare.
Chiamiamo a un evento senza precedenti attorno alla fabbrica, ad abbracciare la fabbrica. Un evento che sia tutto: promessa di riscossa, concerto, veglia, testimonianza, interventi, rabbia, analisi.
Il nostro tempo è poco e sta scadendo. Vi chiediamo di rispondere a questo appello a noi direttamente, sui vostri social, invitando ad essere qua il 31, ad essere qua se potrete. Spingiamo. Proviamo l’ultima spallata, l’ultima resistenza.
Facciamoci un favore: scegliamo di non cadere.
Perché non sia solo il nuovo anno, ma un anno nuovo.