Cittadino italiano e palestinese, Khaled el Qaisi, studente di Lingue e civiltà orientali all’università la Sapienza di Roma e traduttore di testi preziosi come quelli di Ghassan Kanafani, è rinchiuso in un carcere israeliano. Fino ad oggi nessuna autorità ne ha spiegato le ragioni. Al termine di una vacanza in Palestina con la famiglia, il 31 agosto, Khaled è stato improvvisamente ammanettato, davanti alla moglie e al bambino, mentre attraversava il valico di Allenby, tra Cisgiordania e Giordania, prima di rientrare in Italia. Sappiamo solo che tre udienze ne hanno prorogato la detenzione “cautelativa”.
Il silenzio delle autorità politiche italiane sulla sua detenzione è sconcertante. Nei giorni scorsi, a conclusione di un’assemblea all’università romana, i familiari – insieme con il legale italiano incaricato di rappresentarli – hanno promosso la costituzione di un comitato per la sua liberazione.
A partire dal rischio paventato dal legale della famiglia el Qaisi – lo “slittamento” del procedimento da un piano penale, che presume un’imputazione, con diritto alla difesa legale, a un piano di detenzione amministrativa (un “mostro” giuridico in uno stato di diritto, che in Italia è ben noto perché abitualmente utilizzato nella guerra contro i migranti).
La giustizia militare di Israele è la spina dorsale di quella che gran parte dei media e degli esponenti politici italiani si ostina a chiamare “la sola democrazia del Medio Oriente”. Si tratta di un sistema abietto che sul piano giuridico rappresenta il medioevo, il pre-moderno in tutta la sua violenza.
Dobbiamo pretendere che ci venga restituito domani, che venga sottratto all’arbitrio di chi l’ha gettato in un carcere. Proprio come accade ogni giorno a fiumi di altre persone che Israele considera, oltre che meritevoli di soprusi e umiliazioni, ostili e pericolose. Perché forse quel che Israele teme più di ogni altra cosa è la verità.
da ComuneINFO