Anni di “sospensione” dei conflitti hanno ridotto il sindacato ad un soggetto autoreferenziale che chiede solo di essere riconosciuto dalle istituzioni “sedendo al tavolo” (per fortuna ci sono i CAF che svolgono un servizio, altrimenti ci si domanderebbe, inutilmente, “dov’è il sindacato?”).
Dalla scelta del “governo amico” (Prodi?) in poi, CGIL, CISL, UIL hanno sostituito la contrattazione con la concertazione. Poi “il senso di responsabilità” (sic!) verso i governi liberisti appoggiati dal PD ha addomesticato il brontolio (Fiom), inattivo, del sindacato: il risultato sono i bassi salari, i contratti non rinnovati, le privatizzazioni, l’ulteriore precarizzazione del lavoro, ecc. Ora, divisi (la Cisl scalpita per la cogestione!), si fanno solo parole (in verità sempre più “responsabili”) e si invita la fascista Meloni a Congresso per farsi notare dalla stampa.
Se riprendere le lotte, organizzare gli scioperi e mobilitare le lavoratrici e i lavoratori è così difficile e faticoso (e i risultati così incerti) è, in buona parte, responsabilità di questo sindacato. Bisogna saperlo, è necessario che il sindacato si assuma la responsabilità delle sue trasformazioni, della perdita della sua funzione, dei suoi fallimenti. Se non si parte da qui come si ricostruisce la necessaria “stagione di lotte”?
Sì, perché senza la riapertura di una stagione di conflitti non solo peggiorerà la condizioni dei lavoratori e delle fasce deboli della società, ma si favorirà, ulteriormente, la crisi della democrazia.
La politica è arroccata nei palazzi alla ricerca di una improbabile “governabilità”, sempre più predeterminata dai poteri dell’economia globale. Solo l’autonoma azione della società (e dei sindacati tutti insieme) può scardinare il disegno neoliberista e indicare alla politica la strada da percorrere.