Secondo l’esplosiva inchiesta del Guardian, risalente al febbraio 2021, in Qatar sarebbero morti ben 6500 lavoratori dal 2 dicembre 2010, anno in cui il ricco stato della penisola araba ottenne l’assegnazione dei Mondiali di Calcio.
Il governo qatariota replicò: “Molti di essi vivevano qui da anni e sono deceduti per vecchiaia, o altre cause naturali. Le vittime collegate al lavoro fra il 2014 e il 2020 sono state 37”.
Il Qatar è il primo paese arabo che ospiterà i Mondiali di Calcio: dopo l’assegnazione nel dicembre 2010, è iniziato un maxipiano per la costruzione degli impianti. Sette stadi, un nuovo aeroporto, strade, sistemi di trasporto pubblico, hotel e una città per la finale. I lavori però sono costati una media di 12 vittime a settimana: più di 6.500 in totale.
I dati provenienti da India, Bangladesh, Nepal e Sri Lanka hanno rivelato che sono state 5.927 le persone morte dal 2011 al 2020. A questi si uniscono i dati dell’ambasciata del Pakistan in Qatar che hanno segnalato altri 824 decessi sul lavoro di cittadini pakistani. Ai 6.500 morti vanno aggiunti i decessi di immigrati da altri paesi come le Filippine e il Kenya e le vittime degli ultimi mesi del 2020. La maggior parte dei decessi è per cause naturali, in special modo insufficienza cardiaca o respiratoria acuta. Diversi i decessi causati da stress termico.
Da un’analisi dei dati sui decessi eseguita da Amnesty International su molteplici fonti, è arrivata la conferma che la maggior parte delle morti di lavoratori migranti rimane senza spiegazione. Le statistiche ufficiali del Qatar mostrano che dal 2010 al 2019 sono morti 15.021 stranieri di ogni età e occupazione ma che le cause del decesso sono inattendibili.
Negli anni recenti, i provvedimenti per la tutela dei quasi due milioni di espatriati presenti in Qatar sono stati numerosi. Basta andare sul sito gco.gov.qa e vedere la voce Labour reform.
Dal marzo 2021 è stato introdotto il salario minimo di 1000 QAR (283 euro circa, meno di 2 euro l’ora!), più 500 QAR per l’alloggio e 300 per il cibo. Il 26 maggio 2021 un decreto ministeriale ha vietato l’attività lavorativa all’esterno dalle 10 alle 15,30 (quando il caldo è infernale).
E stato inoltre abolito (settembre 2020) il cosiddetto sistema Kafala, che impediva agli operai di cambiare occupazione, o ditta. Secondo l’ufficio stampa del governo, oltre 240 mila dipendenti hanno cambiato lavoro, oltre 400 mila hanno usufruito del salario minimo e migliaia e migliaia sono potuti uscire e rientrare senza ostacoli. Sono anche stati intensificati i controlli.
Non si può negare quindi che l’Emirato abbia introdotto una legislazione progressista, ma le recenti riforme del Qatar non vengono attuate o applicate, per ammissione dello stesso governo. Inoltre quando i lavoratori migranti vengono sfruttati nell’illegalità, è molto difficile per loro ottenere giustizia o risarcimenti. E comunque non possono aderire ai sindacati, quindi non possono lottare collettivamente per migliori condizioni di lavoro.
Quando la FIFA ha deciso di far svolgere le gare della Coppa del Mondo in Qatar sapeva – o avrebbe dovuto sapere – dei rischi intrinseci nell’ospitare il torneo lì, a causa della forte dipendenza del paese dai lavoratori migranti e del grave sfruttamento che essi devono affrontare.
La FIFA ha la chiara responsabilità di agire quando i lavoratori dei progetti connessi allo svolgimento della Coppa del Mondo sono a rischio di sfruttamento sul lavoro e doveva usare la sua influenza per sollecitare il Qatar a proteggere adeguatamente tutti i lavoratori migranti.
Oggi, mentre la FIFA è destinataria di enormi entrate dalla Coppa del Mondo, i lavoratori migranti stanno ancora soffrendo per far sì che i mondiali abbiano luogo. La FIFA si difende affermando di non avere responsabilità alcuna. Alcune squadre promettono proteste “simboliche” sul campo, ma il gioco deve continuare perché il giro di denaro messo in moto è straordinario, tutti ne potranno beneficiare, tutti meno i lavoratori migranti del Qatar e le loro famiglie.