Se la voglia di lottare non c’è o sembra poca, se c’è stanchezza o indifferenza non c’è motivo per rinunciare a proporre il conflitto come principale pratica politica. Indispensabile è la consapevolezza del tempo presente, un tempo di guerre, e prima di tutto viene la pace disarmata. Occorre capovolgere il punto di vista, muoviamo lo sguardo dal basso.
Legittimare le rivolte oggi è necessario per supportare le rivolte che verranno e i conflitti che già ci sono.
Sotto il diffuso atteggiamento di rinuncia rancorosa cova insoddisfazione e rabbia, sono questi i prodromi delle rivolte. Gli ultimi e i penultimi non hanno voce, la “sinistra” non li rappresenta, questi cercano la loro occasione tra i populisti. Dopo, insieme, dentro la crisi della democrazia rappresentativa, prepariamoci alle rivolte.
Il risultato delle elezioni pare scontato, per questo a noi pare di avere un solo compito politico plausibile: quello di indicare che non c’è altra strada che il conflitto sociale.
Oggi i conflitti sono molti e diffusi, anche se piccoli e frammentati, amplifichiamoli e trasformiamoli nell’unica pratica politica possibile.
Agiamo per unificare, nelle diversità: i movimenti in difesa del territorio e contro le “grandi opere”; le azioni di contrasto alle cosiddette “riqualificazioni urbane”; le lotte per i diritti e i salari dei lavoratori precari e dei braccianti, per la difesa dei posti di lavoro; le azioni di solidarietà nei confronti di tutti i migranti. I conflitti li difendono coloro che li praticano.
L’inefficacia e il fallimento dell’alternanza e della scelta della governabilità, insieme al vistoso astensionismo ci confermano che in futuro l’azione politica efficace non si svolgerà nelle stanze del palazzo o in Parlamento, a noi pare che questa storia stia per finire.
Altro si scorge all’orizzonte, non tanto lontano, le rivolte. Se ci sarà qualcosa da “governare”, sarà la necessità di trasformarle in partecipazione politica e conflitto generalizzato che imponga l’agenda politica ai governi (che non saranno “amici”).
Solo una nuova stagione di conflitti sociali può portare a qualche risultato. Ora dobbiamo ostacolare la “fascistizzazione” della società e della politica con la disobbedienza, la resistenza, la lotta.