Riceviamo da Sonia questa conversazione. Strappi di frasi, parole disilluse, ma ancora arrabbiate, sulla scuola. Sentiamo uno stato d’animo che abbiamo condiviso per anni, frutto forse dell’impotenza, dell’impossibilità di fermare la corrente impetuosa del “produttivismo progressista”, che pensa la scuola come avviamento al mercato del lavoro e alla professione e non come uno strumento per conoscere e interpretare il mondo: un “bene comune” oltre che una istituzione pubblica.
Se voterò lo farò anch’io sebbene il programma sulla scuola sia ridicolo e conservatore… in linea con quanto scriveva il mio «socio» Mottana: « Mi capita talora di leggere qualcosa scritto da sedicenti intellettuali di sinistra in materia di educazione. Sono molti anni che in materia di educazione e soprattutto di scuola parla chiunque, scrittori (soprattutto, specie se insegnanti, dalla Mastrocola a Lodoli), psicologi (da Recalcati a Crepet), giornalisti e filosofi più o meno plenipotenziari (da Galli della Loggia a Cacciari) e così via, per lo più dicendo enormi sciocchezze.
Il guaio è che, essendo vip e vippetti, fanno opinione comune, ahinoi.
Intendiamoci, non che se parlassero illustri accademici in pedagogia il dibattito farebbe grandi progressi, nella maggior parte dei casi ma almeno si potrebbe ipotizzare (non sempre con certezza) che sappiano di cosa parlano. »
« Ma, a dire il vero, non è molto diverso da ciò che dicono ben più autorevoli pedagogisti e politici anche di sinistra, recitando il quotidiano peana sulle skill necessarie a inserirsi nel mercato del lavoro e, in special modo, delle imprese, sempre più azioniste di maggioranza nella nostra istruzione pubblica, sulla occupabilità, una delle parole più infime che mai sia uscita dalla bocca e dalla penna di autorevoli sociologi, pedagoghi e economisti educativi, e capitale umano.»
« Eppure. Intanto la scuola pubblica. Molti sono aggrappati a questa parola come se fosse l’ultimo appiglio della cultura di sinistra in Italia. Personalmente, e molto modestamente però, vorrei metterli in guardia. La scuola è certamente pubblica perché viene pagata con le tasse dei cittadini. Ma dire che si tratti di un bene comune, come sarebbe più appropriato dire, mi pare piuttosto fallace. La scuola è un dispositivo normativo e disciplinare (non cito i riferimenti per carità di patria) gestito, amministrato e governato dagli apparati di potere, che sono anche espressione dei cittadini ma che bellamente se ne impippano degli autentici interessi della popolazione, quella minorenne in particolare.
Dovremmo piuttosto esigere l’educazione come “bene comune” iniziando quanto prima a farcene carico tutti, nella società, nel disegno dei nostri territori, rendendoli accoglienti e esplorabili da bambini e ragazzi e soprattutto cooperando per farli diventare luoghi di esperienze vitali, autentiche, appassionanti.
Non ho bisogno di elencare decine e decine di volumi che hanno raso al suolo ogni fondamento educativo, umano, vitale delle nostre scuole da un punto di vista strutturale (diciamo da Foucault a Althusser, a Illich a Schérer ecc.) a una buona parte degli autori anche citati dal nostro (non tutti, non facciamo di ogni erba un fascio, don Milani non è Codignola né Mario Lodi è Maria Montessori né Dewey è poi questo straordinario riferimento se si pensa a ciò che ebbe a dirne un intellettualucolo come Max Horkheimer quando ancora si distingueva tra filosofie positiviste e pragmatiste e filosofie umaniste e per esempio marxismo (ma son dibattiti superati evidentemente).
E poi va bene Freinet ma perché allora non Ferrière o Décroly, perché non Lapassade e la sua “autogestione pedagogica” o Fernand Deligny e i suoi “vagabondi efficaci”? »
« Ma è chiaro che la nostra sinistra quando sente odore di vita, di benessere, di natura, arriccia il naso e sente odore di bruciato. Lei preferisce i gulag scolastici dove l’imposizione del silenzio, dell’immobilità e della non scelta imperano sovrani. Chissà cosa pensa il nostro dei libertari, tipo Alexander Neill o Colin Ward.. »
« Comunque sia, i toni, la malevolenza e anche un po’ il gioco facile con cui certi nostri intellettuali sedicenti di sinistra intendono zittire tutto ciò che non è ascrivibile al loro galateo gramsciano (con tutto il rispetto non proprio più dell’ultima ora) e soprattutto in fondo gentiliano, mi fa orrore.
Rendiamoci conto che oggi genitori sensibili (alla buon’ora!) non sopportano più la clausura precoce dei propri figli né il trattamento disciplinare che ogni istituzione crudelmente normativa propone, che uscire all’aria aperta, in natura ma anche nella società, è solo un gesto per restituire bambini e ragazzi ad un’autentica vita sociale e perché no, finalmente anche politica.»
Se tutto parte dall’educazione….
Unica proposta seria pagare almeno il doppio il personale della scuola (eccetto i presidi).
Da insegnante mi chiedo sovente come la scuola pubblica italiana possa ancora andare avanti dopo tutti i colpi che le sono stati inferti. Ho anche il sospetto che questi colpi le vengano inferti proprio perchè, in qualche modo, riesce ancora ad andare avanti. Come se la politica, tutta la politica, o almeno quella che conta a livello istituzionale, avesse paura della scuola pubblica. Soprattutto quando si allontana dalla mera produzione di automi umani per il mondo del lavoro e del consumo. Mi pare evidente che la scuola italiana non sia esente da difetti. Mi pare altresì evidente che possa anche essere migliorata. Ma, onestamente, a me sembra che lo sforzo sia condotto nella direzione opposta, per peggiorarla. O, meglio, per renderla innocua. Sarò provocatorio, quasi per ridurla all’inetta dimensione tecnocratica e monopensante della nostra classe politica. Ecco, secondo me, il motivo di tante attenzioni. Nella scuola c’è ancora qualche scintilla di pensiero non unico, di dubbio, di critica e di sentimento umano. Alla nostra politica arrogante e autoreferenziale, ai sedicenti di sinistra con il complesso della superiorità intellettuale e ai sedicenti di destra con il complesso dell’indifferenza alla cultura, tutto ciò deve causare davvero un tremendo fastidio. Vedere la possibilità di un mondo diverso da quello che hanno immaginato, non solo e non tanto a causa delle loro convinzioni ideologiche, sincere o indotte che siano, ma piuttosto per la loro incapacità di fare politica anzichè essere semplicemente parte della politica. Forse per questo, la scuola non è un “bene comune”.