Letteratura :: Il diritto alle omissioni …di Leila Slimani

Riportiamo il testo letto dalla scrittrice francese di origine marocchina Leila Slimani a La Milanesiana, a Pavia il 23 giugno. Una interessante occasione per riflettere sulle forme della letteratura ed il rapporto con la realtà presente.

Qualche anno fa, ho cominciato a scrivere una trilogia ispirata alla storia della mia famiglia. Il primo volume, Il paese degli altri, era dedicato alla giovinezza dei miei nonni, morti entrambi una decina di anni fa. Alla pubblicazione del libro, mi hanno spesso domandato dove e in che modo mi fossi procurata una serie di informazioni sui miei nonni. Li avevo forse interrogati? Avevo indagato sulla loro vita, ritrovato qualche loro conoscente o amico? I giornalisti sembravano essere molto interessati all’idea di poter conoscere le reazioni della mia famiglia. Mia madre l’aveva poi letto, il libro? E che cosa ne aveva pensato?
Io continuavo a ripetere che i miei libri erano romanzi, finzioni narrative, visioni fantasmatiche dei membri della mia famiglia, ma i giornalisti non sembravano per nulla soddisfatti. E insistevano: non avevo forse sentito la curiosità di svelare i secreti di famiglia, di dire la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità?

Sono stata allevata da gente segreta. Mio padre parlava poco di sé o quando lo faceva era per raccontare bugie. Ho sempre saputo che i suoi racconti di viaggio e gli aneddoti sulla sua infanzia altro non erano che favole inventate. A me, però, piaceva moltissimo ascoltarle. Da molto piccola, sentivo che una parte di lui non era lì con noi. Non gli ho chiesto perché avesse perso il lavoro. Non gli ho chiesto perché l’avessero mandato in prigione. Ne ho sempre accettato i silenzi, le omissioni. Quando è morto, ho chiesto a mia madre di spiegarmi chi era mio padre. «Tuo padre era un mistero. E questo è tutto ciò che posso dire di lui», ha risposto.
Mia madre mi ha detto anche che non serviva a nulla cercare nell’infanzia di mio padre delle spiegazioni alla sua disgrazia, alla sua difficoltà di esistere. Ha poi aggiunto che lui stesso sarebbe stato assolutamente incapace di dire perché fosse così poco dotato per la felicità. Ed è per questo, ha aggiunto, che era inutile cercare di capirlo. Potevo, al massimo, divertirmi a inventarlo. Credo si muoia tutti sconosciuti. È questo che mi ha insegnato la letteratura. Nessun essere può venire compreso a fondo, e costruire un personaggio vuol dire anche rispettare questo mistero. «Ogni uomo reca in sé un Segreto, molti uomini muoiono senza averlo trovato» scrive Mallarmé.

Oggi vorrei ringraziare i miei genitori. Vorrei ringraziarli per tutto quello che non mi hanno detto. Ringraziarli per le omissioni, le dimenticanze, le lacune. Perché mi sembra sia proprio di questo che sono fatti i miei libri. Ci sono tante conversazioni che non abbiamo avuto. Tante cose che non mi sono state rivelate. Ma è proprio perché ho il cuore gonfio di questioni irrisolte che ho potuto scrivere i miei libri. E grazie a questo, la mia immaginazione ha potuto correre libera, lontano, molto lontano, e ho potuto inventare. Credo che l’immaginazione sia una forma di conoscenza e che non esistano storie vere. Quando mia madre ha letto i due volumi della trilogia, si è soffermata su un capitolo in cui descrivo un amico di famiglia. Non ho mai incontrato quell’uomo, non ho mai visto delle fotografie di lui e non ho mai fatto domande a riguardo. Ho lavorato sulla base degli scarni ricordi che mi erano rimasti dei racconti di mia nonna e poi ho inventato. Nel brano in questione, descrivo le dita dell’uomo. Dita che immaginavo tozze e pelose. Mia madre mi ha detto che le sue mani erano esattamente come le avevo descritte io, e ha aggiunto: «ma come fai a sapere tutte queste cose che io non ti ho mai detto ?». La trasmissione non avviene sempre in maniera rumorosa, molte delle cose che sappiamo sono retaggi silenti.
La letteratura è un erotismo del silenzio. Ciò che non si scrive, ciò che si omette è quasi altrettanto importante di ciò che si scrive. Si scrive non solo per dire, ma molto spesso per nascondere. Può sembrare paradossale, ma scrivere è anche trattenersi, come nei primi tempi dell’amore, quando si ha voglia di dire tante cose, tante frasi passionali e banali e al tempo stesso il silenzio è talmente erotico. Non c’è desiderio senza omissione, non c’è letteratura senza silenzio. Mia madre diceva spesso una frase curiosa: «Quel che non diciamo ci appartiene per sempre, quel che diciamo appartiene ai nostri nemici».

I miei genitori erano entrambi molto rispettosi dell’intimità di ciascuno di noi. Non avrebbero mai aperto una busta indirizzata a una delle loro figlie. Non avrebbero mai invaso la nostra vita interiore. Mi hanno permesso di comprendere che diventare un individuo completo significa anche omettere di dire, tenere le cose per sé. Si smette di essere un bambino il giorno in cui si rifiuta di essere trasparenti, il giorno in cui si capisce che siamo fatti anche di segreti. Ciò che nascondiamo ci definisce. Impariamo a indossare una maschera per vivere insieme agli altri, ci abituiamo a fare finta.
I miei genitori hanno sofferto molto a vivere in una società dove il segreto, l’omissione, erano impossibili. Nel Marocco degli anni 70-80 regnava il controllo di tutti su tutti. Tutti dovevano sapere che cosa facevi, che cosa pensavi, dov’eri e che frequentazioni avevi. Specie nel caso delle donne. Dalle donne si pretende infatti una totale trasparenza, nulla deve essere omesso o occultato. Per poterle controllare, gli uomini devono sapere ogni cosa. Sono si trovano e chi vedono. A cosa pensano e a cosa sognano.

Il diritto al segreto è un pilastro di ogni democrazia. E anche il diritto di mentire, di non dire sempre esattamente come sono andate le cose, dove ci si trovava, che cosa si pensava. Ognuno di noi ha diritto a uno spazio che sia solo suo e rispetto al quale non deve dare conto a nessuno. Purtroppo oggi le nostre società detestano l’omissione che considerano un pericolo per la sicurezza. E si arriva a ritenere che la democrazia sia il diritto di sapere ogni cosa. L’individuo sui social non ha una faccia nascosta, è pura trasparenza, dono di sé, fin nei dettagli più insignificanti.
La letteratura è l’esatto contrario di questa società dell’esposizione. A me piacciano molto i segreti altrui. E voglio che siano rispettati i miei. Sono molte le cose che nascondo, i pensieri che non dico. E mento spesso. Ciò che non dico mi rende più forte. (Traduzione Anna D’Elia)

Leila Slimani, il manifesto, 23/6/2022

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