Riportiamo una recensione multipla di Fulvio Perini apparsa sul numero di maggio del mensile L’Indice. Vengono presi in considerazione tre testi frutto di ricerche e inchieste sui mutamenti dell’organizzazione del lavoro sottoposta all’introduzione delle tecnologie digitali. Vengono analizzate le condizioni di lavoro, gli effetti sui lavoratori, le nuove forme di fatica, di disagio e di alienazione
Le profonde modificazioni nell’organizzazione del lavoro hanno visto una rapida accelerazione nell’ultimo decennio e hanno portato a una copiosa produzione editoriale. Tre libri usciti di recente affrontano il problema da punti di vista diversi ma complementari. Il primo è Digitalizzazione industriale di Dario Fontana, ricercatore sociale con una lunga esperienza di studio sull’organizzazione e le condizioni di lavoro. Nel libro vengono presentati i risultati dell’inchiesta, condotta in sette fabbriche e tra i lavoratori del credito e delle assicurazioni in provincia di Modena, per studiare il rapporto tra prestazioni di lavoro in ambienti fortemente digitalizzati, condizioni di lavoro ed effetti sulla salute. L’inchiesta è stata condotta attraverso 100 ore di interviste a tecnici e rappresentanti sindacali, assemblee con i lavoratori e la raccolta di 1057 questionari compilati. Nelle fabbriche alcune fasi di ciclo erano digitalizzate e altre no, per cui era possibile una comparazione delle condizioni di salute dei lavoratori tradizionali con quelli informatizzati; gli impiegati del settore del credito operano tutti con tecnologie informatiche ed è subito emerso che la velocità delle trasformazioni tecnologiche nelle banche è molto più alta che non nelle fabbriche. È anche emerso che le tecnologie digitali e i modelli applicativi di gestione delle prestazioni lavorative nel settore manifatturiero e in quello dei servizi erano convergenti, per queste ragioni si può parlare di “digitalizzazione industriale”. Al centro dell’indagine l’autore ha posto l’interrogativo su come “i lavoratori sperimentano sul proprio corpo le molteplici conseguenze dell’uso della tecnologia” profondamente convinto che è sempre a questo livello che “i lavoratori prendono coscienza della propria condizione in rapporto alla tecnologia, assumendo eventuali azioni di contrasto o di favore alle scelte che sottendono lo sviluppo digitale”. I rischi e i danni provocati alla salute dei lavoratori derivano dall’intensità crescente della prestazione lavorativa e dai sistemi di controllo sull’essere umano: i disturbi muscolo scheletrici e lo stress lavoro-correlato interessano tutti i lavoratori, operai e impiegati, specie se addetti a lavori ripetitivi e standardizzati. La qualità e la quantità di dati che emergono è impressionante: si sta andando verso un lavoro disumano, la “società fascista delle formiche” come anticipava Norbert Wiener, l’inventore della cibernetica. Il 53 per cento dei lavoratori del magazzino della logistica (tutti immigrati) dichiara di “litigare” con l’algoritmo che gli dà le istruzioni vocali quando queste sono imprecise o non comprende le loro risposte. Dalla ricerca sembra emergere una polarizzazione verticale della qualità del lavoro dove però la larghissima maggioranza dei lavoratori è schiacciata verso il basso, e ancora una volta sono le donne a subire le condizioni peggiori. Proprio i dati sui danni alla salute fanno emergere le difficoltà crescenti ad adottare adeguate misure di prevenzione dai rischi anche perché il ricatto e la paura di perdere il lavoro inducono alla rinuncia dell’azione di tutela. Il fatto poi che il medico consideri “solo” gli esami obiettivi e non senta la voce del lavoratore visitato – l’anamnesi lavorativa – vuol dire che si ignora il progressivo peggioramento della salute sino a quando l’esame “obiettivo” non comporta un giudizio di inidoneità e scatta la discriminazione e il licenziamento. Anche la medicina del lavoro, dopo la psicologia e la sociologia, diventa un servizio per la gestione delle risorse (sub)umane?
Un’altra utile lettura è Sfruttamento 4.0 di Matteo Gaddi, ricercatore sociale e militante sindacale, che ha svolto in collaborazione con la Fiom molti studi di caso e inchieste sulle innovazioni tecnologiche nell’industria metalmeccanica e dell’automotive. Il suo libro riprende alcune di queste ricerche trattando i mutamenti del lavoro in rapporto ai nuovi modelli organizzativi con applicazioni delle tecnologie digitali. Nella prima parte il libro svolge un’analisi critica del progetto chiamato Industry 4.0, sottolineando come il notevole sostegno pubblico alle aziende fosse funzionale all’introduzione di sistemi di coordinamento-controllo dei flussi produttivi passando dal modello just-in-time a uno just-in-sequence. I nuovi modelli gestionali controllano sia gli aspetti economici sia l’efficacia del processo produttivo e la produttività del singolo lavoratore, per cui l’impresa può valutare la redditività di ogni fase del ciclo e decidere se mantenerlo o esternalizzarlo a costi più bassi. Le maggiori perdite di occupazione derivano dalle esternalizzazioni di rami d’azienda e dalle delocalizzazioni. Il modello di riferimento della lean production, nato in origine nell’industria automobilistica, si è ora diffuso con l’obiettivo di realizzare il risultato produttivo in tempi più ravvicinati possibili alla domanda del cliente; quindi l’automazione ha come primo scopo non tanto sostituire il lavoro umano ma eliminare – come era già all’origine della manifattura – ogni porosità nell’intero ciclo di lavorazione. Il criterio di valutazione per gli interventi è quello di eliminare tutti i tempi di stoccaggio e passaggio del prodotto e tutte le operazioni e gesti del lavoratore considerati a valore aggiunto zero. Qualche impresa sta pensando di installare un tabellone elettronico che, per ogni pezzo realizzato, consenta l’immediata visualizzazione del corrispondente fatturato realizzato. È evidente che quando le istruzioni per lo svolgimento della prestazione di lavoro sono incorporate nell’algoritmo le stesse condizioni di lavoro sono di fatto sottratte al controllo, cognitivo ancor prima che formale, del lavoratore interessato. Sfruttamento e alienazione si ripresentano con forza ed è evidente che la condizione di lavoro non è più oggetto della contrattazione sindacale. Per riproporre la centralità dei diritti dei lavoratori, per il sindacato, è dunque cruciale riconquistare la piena conoscenza e padronanza della sequenza e degli scopi delle istruzioni impartite all’algoritmo.
L’ultimo contributo, Il tuo capo è un algoritmo di Antonio Aloisi e Valerio De Stefano, docenti di diritto del lavoro, presenta in modo approfondito, con esempi efficaci, le trasformazioni del lavoro in corso, in particolare nel settore dei servizi, quando le istruzioni ai lavoratori arrivano tramite piattaforme digitali. La loro sfida non è solo normativa ma quella di elaborare proposte e agire collettivamente per “un lavoro fatto bene”. L’intero capitolo dedicato alla trasformazione del lavoro documenta, in modo diffuso, come il lavoro istruito e gestito attraverso gli algoritmi sia “fatto male” e il giudizio degli autori è netto: “In molti contesti lavorativi ci si trova, malauguratamente, a doversi confrontare con architetture verticistiche, ritmi serrati, metodi intrusivi e abusi”. La flessibilità come condizione di efficienza ha costruito un ampio spazio di rapporti di lavoro dipendente e indipendente, stabile e incerto, prevedibile o occasionale, a orario pieno e a part time che correttamente gli autori definiscono “non standard”, anziché “precariato”, per evidenziare come l’incertezza attuale del diritto del lavoro derivi dal venir meno del classico modello a tempo pieno e indeterminato del settore industriale. Ricordando come molti lavoratori a prestazioni non standard si collocano nella fascia dei poveri (in violazione dell’art. 36 della Cost.), gli autori dedicano le pagine finali del libro alle esperienze di lotta e di autorganizzazione che si vanno diffondendo nel mondo, a partire dai riders sino ai progettisti informatici di Google. È tempo di pensare ai nuovi diritti e progettare obiettivi e modelli di contrattazione per i lavoratori delle piattaforme. “I diritti di accedere ai dati e di contestare i risultati di un processo decisionale automatizzato (…) non sono sufficienti e i singoli non possono essere lasciati soli ad affrontare la complessità di queste innovazioni”. Serve la vita associativa del sindacato finalizzata a una contrattazione collettiva capace di incidere sulla trasformazione digitale ponendo al centro l’umanizzazione del lavoro. Perché “il dibattito sull’innovazione è intimamente legato al tema della creazione di lavoro di qualità”.
Fulvio Perini, L’Indice, maggio 2022