Decostruzione, ascolto e cura del partire da sé
Campo di battaglia. Le lotte dei corpi femminili (pp. 192, euro 16) di Carolina Capria, edito da effequ, è un libro che spiega come, in nessuna fase della vita, le donne siano, senza lotta, padrone del proprio corpo. Il libro si struttura come una sorta di atlante dei corpi delle donne: i capitoli portano infatti il nome di parti del corpo e sono interrogati secondo le costruzioni in cui storicamente i vari organi e tessuti sono stati imbrigliati. L’idea di Capria è provare a decostruire quello sguardo che seziona il corpo in parti senza accoglierlo nella propria complessità e unicità.
Quali sono le nostre aspettative riguardo al nostro corpo? In che modo e a partire da che momento della vita di una donna esso risponde a degli imperativi? Cosa significa veramente prendersi cura del proprio corpo?
Partendo dalla propria esperienza, in prima persona, la narrazione prende forma secondo il bel presupposto che non è possibile rivendicare e riscattare il proprio corpo senza parlare dello stesso – e quindi partendo da sé in quanto soggetti situati. Si parla di un corpo femminile bianco, abile, nella norma.
L’espropriazione del corpo femminile avviene fin dall’infanzia per culminare nell’adolescenza. Anche ben oltre in realtà. Nel capitolo intitolato «Sangue» Capria dedica molte pagine alle mestruazioni e alle dinamiche secondo cui il tabù del nominare il menarca e i cicli successivi è la controparte manichea della celebrazione famigliare di «diventare signorina». L’autrice racconta di essersi resa conto a posteriori in che misura quel passaggio celebrato abbia rappresentato per lei una sorta d’invasione dello spazio intimo; e che una “celebrazione” in quei termini più che un rituale d’affermazione gioiosa costituisca invece l’accesso al mondo della disponibilità della donna in quanto sposa e madre.
Nei vari capitoli ritorna l’appello a decostruire l’idea che prendersi cura del proprio corpo corrisponda soprattutto a renderlo più piacevole e attraente per i parametri del male gaze. L’imperativo del prendersi cura del proprio corpo non seguirebbe infatti le linee della profilassi o del benessere essenziale, ma quelle dell’«appetibilità»: rendersi prodotti conformi e fruibili. L’autrice ribadisce che anche quando pensiamo che le cure estetiche corrispondano a «prendersi cura di noi», in realtà si tratterebbe di una cura per lo sguardo dell’altro.
Del nostro corpo disponiamo davvero? Capria ribadisce di no, ripetendo che si tratta piuttosto di esserne custodi, […]
Allora quale è la cura che si prende veramente cura del corpo delle donne? Senza rispondere direttamente Carolina Capria apre alla riflessione dedicando spazio a Trotula di Ruggiero, la prima ginecologa europea vissuta tra l’XI e il XII secolo. Avuta la possibilità di frequentare la Scuola Medica Salernitana, straordinariamente aperta anche alle donne, Trotula divenne medica e decise di concentrare le sue ricerche sul corpo delle donne. Fu proprio tramite l’osservazione e l’ascolto dei bisogni dei loro corpi che affinò quei saperi che le consentirono di prendersene cura.
Francesca Maffioli, il manifesto, 3/4/2022