Ieri, 13 marzo, sono stata alla rievocazione dell’eccidio di Salussola e come ogni anno rimango basita dal tentativo di assimilare i morti, senza dire a chiare lettere che i fascisti, gli italiani fascisti, furono la causa della mattanza.
Ho ascoltato l’intervento dello storico, il professor Orsi, che ha messo al centro del suo discorso un concetto di Patria “positivo” che si contrappone all’accezione negativa che porta al nazionalismo, al punto da considerare la Liberazione come un atto eroico di patrioti che hanno lottato contro l’invasione del nemico straniero.
Questa analisi porta a mio parere ad una banalizzazione riduttiva della lotta partigiana che viene così considerata come una guerra contro il nazista invasore invece di una lotta contro una idea di società fondata sulla sopraffazione del forte sul debole, sull’assenza di diritti collettivi e individuali, sul razzismo e sulla guerra come strumento di aggressione e appartenenza alla “Patria fascista”.
Quale sia poi il confine tra il concetto di Patria con tutta la sua dote di orpelli e complementi: bandiere, inni, confini e mano sul cuore, e il nazionalismo che è il figlio primogenito di questa concezione del mondo, francamente mi è difficile indicarlo.
Se pensiamo ai disastri che provocano i confini degli Stati, che impediscono alle persone di spostarsi dividendo i popoli e creando barriere mentali, non si può non considerare il patriottismo corresponsabile del nazionalismo.
Per me patria non è uno spazio fisico dove si parla la stessa lingua, né un confine che non esiste in natura, né una religione che non ho, bensì un’idea di società che oggi in Italia è rappresentata dalla Carta Costituzionale, per costruire la quale quei partigiani sono morti e hanno lottato.
La mia Patria è quella idea di mondo, accogliente, inclusiva e tollerante.
Sonia Modenese