Il 17 febbraio del 1982 il cuore di Thelonious Sphere Monk cessa di battere, infarto. Era un compositore e pianista jazz, nato il 10 ottobre del 1917.
Qualcuno, davanti ai successi degli anni cinquanta, sostenne che non sapesse suonare e che le sue “innovazioni” fossero casuali, prodotte dai suoi errori. L’ascolto della sua evoluzione stilistica ci dice tutt’altro ed alcuni nastri di “prove di incisioni” confermano l’originalità e il rigore creativo di Monk.
Musicista autodidatta, compositore cresciuto intorno al Bebop, compose alcuni brani che divennero noti standard, con quella scrittura sghemba che offre ai musicisti una libertà e una varietà di interpretazioni inesauribile. La discografia dell’opera di Monk, interpretata da musicisti che suonano strumenti diversi dal piano è lì a confermarlo.
Discografia sterminata quella dei suoi “interpreti” ma se si vuole c’è la possibilità di ascoltare alcuni maestri del jazz contemporaneo tutti insieme in una giornata dedicata a Thelonious Monk, nel 1981, alla Columbia University. Quattro concerti live: intorno a quattro pianisti di generazioni diverse, Berry Harris, Mal Waldron, Muhal Richard Abrams, Anthony Davis, si raccolgono Steve Lacy, Don Cherry, Charlie Rouse, Roswell Rudd, Richard Davis, Ed Blackwell, Ben Riley. Uno straordinario cofanetto di 4 CD della DIW, uscito nel 1994, Interpretations of Monk. Qui si capisce come l’influenza di Monk sulla musica afroamericana sia grandissima e inesauribile, ma come l’approccio alla sua musica “obblighi” i musicisti alla creatività libera e originale.
Monk è l’iniziatore di una linea pianistica che segna la storia della musica afroamericana. Una linea black che aprirà la strada ad una diversa sintassi pianistica: ritmi spezzati, grappoli di note e cluster, dissonanze, percussioni… Queste tecniche non sono inedite, ma nessuno le aveva usate tutte insieme, in modo sistematico, così libero e originale, tenute insieme da sconcertanti “pause di silenzio”, nelle quali si possono “immaginare” le diverse possibili note “mancanti” ma che restano tra le dita e nella testa di Monk.
Pianisti come James P. Johnson, Art Tatum, Bud Powell avevano dato dimostrazione della loro grandezza ma nessuno aveva decostruito (forse per sempre) il pianismo jazz come fece Thelonious Monk. Monk ha “fatto scuola” ma non ha avuto allievi, né epigoni o imitatori (non lo è nemmeno Steve Lacy, il suo interprete più assiduo). Di lui qualcuno ha colto suggestioni e tecniche ma si è trovato costretto a inventarsi un modo proprio di suonare, perché è inimitabile. Per cogliere la portata innovativa della sua musica possiamo pensare che, per ora, la tappa estrema del pianismo monkiano sia stato Cecil Taylor!
Fu più volte vittima della violenza razzista della polizia, alla quale rispose sempre chiudendosi in un silenzio ostinato e totale.
L’ultima volta che si ritrovò a suonare fu nel 1975, poi si isolò e si chiuse in quello stesso proverbiale silenzio che mantenne, ostinatamente, negli ultimi sei anni di vita, senza più incontrare nessuno e senza suonare.
Qui una piccola discografia “essenziale” di Thelonious Monk:
The Complete Blue Note Singles – 1947-1953
Monk Trio – 1952-1954
Brilliant Corner – dicembre 1956
Thelonious Himself – 12-16 aprile 1957
The Complete Riverside Recordings – aprile-luglio 1957
Complete Live At The Five Spot – 11 settembre 1958
Les Liaisons Dangereuses – 27 luglio 1959
Monk Alone, The Complete Columbia Solo Rec. – 1962-1968
Underground – 1967-1968
marco sansoè