Draghi e noi :: Torna l’austerità senza investimenti!

Qui riportiamo la parte centrale e conclusiva importante dell’intervento di Antonello Patta apparso su il manifesto di venerdì 15 ottobre. Ne condividiamo l’analisi e la critica. Confermiamo così il giudizio fortemente negativo sulle politiche del governo Draghi e la necessità di aprire una stagione di conflitti sociali nel paese.

…partiti al governo, giornali e tv a reti unificate sono così uniti nell’esaltazione enfatica di una ripresa economica e di un futuro di rilancio del paese resi possibili dalle qualità del presidente del consiglio da non valutare come avrebbero dovuto le conseguenze economiche negative leggibili lì nero su bianco nel documento votato: L’Italia nel 2023 avrà una crescita del Pil solo di 1,1% rispetto al 2019 anno prima della pandemia mentre nel mondo la crescita viaggerà a più 5,6% e in Europa intorno al +3% medio.

È impressionante che queste decisioni siano arrivate nonostante nel 2021 si sia potuto toccare con mano il fatto che il debito si riduce aumentando gli investimenti (non l’aveva detto anche Draghi?) e non come si è pervicacemente, e inutilmente fatto per decenni riducendo le spese. Grazie agli investimenti e alle spese apparentemente improduttive permesse da un deficit storico, infatti nel 2021 si è avuta una crescita inattesa del 6% e il debito nazionale che nel documento di economia e finanza di aprile era stato previsto al 159, 8% si attesta nelle stime del governo di ottobre al 153,5%
Non è difficile immaginare gli effetti positivi sul debito e sulla crescita futura se si fossero spesi tutti i miliardi in più di risorse disponibili.

Allora perché il governo non ha approfittato dell’inedita possibilità di confermare l’indebitamento del 2021 all’11,8% previsto e ha perseguito l’obiettivo del 9,4% ottenuto per due terzi attraverso una riduzione netta delle spese rispetto a quanto previsto in aprile? Perché di nuovo riducendo anche il deficit previsto per il 2022 sono state sprecate occasioni importanti per rimettere l’Italia su un percorso che avrebbe allineato la crescita a livelli europei e avviato il paese sulla strada di un risanamento duraturo dei conti pubblici?
Perché non si sono utilizzate le risorse per investire nelle assunzioni indispensabili per rilanciare la scuola, la sanità, i servizi pubblici, la ricerca che com’è noto hanno immediate ricadute positive sul pil e quindi sulle entrate fiscali accelerando ulteriormente la riduzione del debito?
E non si dica che la colpa è dell’Europa. Il nostro presidente del consiglio, acclamato come il successore della Merkel, avrebbe potuto benissimo convincere, dati alla mano i partners della possibilità di ridurre il debito mantenendo la spesa pubblica a livelli più alti, almeno quanto altri paesi europei.

La verità è che siamo, in tutta evidenza, di fronte a una linea ben precisa di Draghi e di questo governo che hanno scelto consapevolmente di anticipare di un anno, dal 2022 al 2021 la riproposizione di politiche di austerità e poi proseguire sulla stessa via con la riduzione esagerata del deficit del 2024 fissato al 3% e non per esempio, come sarebbe stato possibile, al 5 o al 6%.

Ad aggravare il quadro dei conti pubblici futuri concorrono altri due scelte che vedono uniti i partiti al governo: in primo luogo un progetto di riforma fiscale che non solo non migliora, ma peggiora il sistema attuale, probabilmente spostando ancora una volta la distribuzione del carico fiscale a vantaggio delle aziende, dei ricchi e della speculazione immobiliare, si veda l’eliminazione dell’Irap, alla riforma del catasto, alla sottrazione alla base imponibile dell’Irpef di ricchezze soggette alle varie tasse piatte; in secondo luogo continua a esser negata qualsiasi intenzione di tassare le grandi ricchezze su qualsivoglia versante.
La spiegazione di tutto ciò pur tenendo conto anche dell’ideologia monetarista del banchiere Draghi, non può che essere trovata nella volontà di utilizzare l’argomento della scarsità di risorse a fini di disciplinamento sociale e di adeguamento di tutto il sistema ai principi dell’ordoliberismo.

Tutte le scelte del governo vanno in questa direzione: lo sblocco dei licenziamenti, la normalizzazione brunettiana della pubblica amministrazione, l’affidamento dell’Itavia a un discepolo di Marchionne, l’utilizzo dei fondi del recovery fund per ristrutturare il sistema produttivo aumentando la precarietà e il comando sul lavoro, la scelta di non intervenire positivamente su salari, occupazione e leggi della precarietà, il varo di una riforma sulla concorrenza destinata a privatizzare l’acqua e tutto ciò che di pubblico è rimasto, e si potrebbe continuare.

Si torna all’antico, si precostituisce artificialmente una condizione di risorse scarse, questa volta per responsabilità nazionale, per poi utilizzare a piene mani la narrazione che i soldi non ci sono al fine di mettere un freno alle rivendicazioni e alle lotte continuando così ad aprire spazi alle destre per alimentare la guerra tra poveri.

Antonello Patta, il manifesto, 15/10/2021


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