«Gigi era un intellettuale e un rivoluzionario, che ha speso la sua intera vita, lunga ma comunque troppo breve per chi gli ha voluto bene e ha avuto la fortuna di conoscerlo e partecipare in qualche modo al suo lavoro intellettuale, nel confronto continuo con la realtà che stava vivendo e nella ricerca di modalità che potessero conseguire un cambiamento radicale della realtà stessa. Appunto “un’altra umanità” come scriveva Franco Fortini, non tanto una “futura umanità”, che sembrava rivelare un progetto già scritto, ma “un’altra umanità”, ancora un libro dalle pagine bianche, tutto da scrivere.
“Noi siamo gli ultimi del mondo, ma questo mondo non ci avrà. Noi lo distruggeremo a fondo, spezzeremo la società”. Nelle parole di Franco Fortini nella sua versione dell’Internazionale, che Gigi amava, echeggia la ripulsa per un mondo che confina l’umanità senza potere nei suoi bassifondi, in un immenso e immutabile East End londinese ottocentesco, e la volontà di non farsi immergere in questo nero profondo ma di distruggere quella società che consente l’annullamento dell’essere umano.
E l’altra umanità per Gigi non poteva trovare albergo se non in una società comunista che per lui “in fondo, risponde[va] nella nostra immaginazione all’idea del ritorno alle origini, quanto gli antenati preistorici scoprirono attorno ai primi fuochi il valore di poter mettere insieme, in comune, le proprie esistenze”.
Gigi si chiedeva però anche come fare a “a passare da un “comunismo della paura” a un “comunismo della libertà e della giustizia”? Da un “Comunismo di guerra” a un “comunismo di pace”?”
E rilevava che “ciò che agli esseri umani appare necessario, anzi desiderabile nello stato di fondazione della socialità, si rovescia in indesiderabile – per una parte di essi – quando entra nella sfera della libera scelta. Per concludere con una domanda “Comunismo e stato di necessità sono allora inscindibili?” alla quale parrebbe che lui stesso non abbia trovato nella sua esistenza una risposta.
Una risposta non la troviamo neanche noi, in una fase storica che forse per qualcuno è solo contingente ma che non passerà con la fine della cosiddetta “pandemia”. Una fase che sta al contrario dando il colpo di grazia a quel pensiero, non comunista che sarebbe troppo, ma anche solo “comunitario” che poteva ancora esistere in qualche “sacca” della nostra società, con la disgregazione dei rapporti, anche personali, fondata sul sospetto e sulla diffidenza indotti artatamente tra le persone da una politica che falsamente si dice volta alla salvaguardia della salute.
Il ricordo che lascia Gigi per noi è forte al di là dei momenti di vita passati con lui, tanti o pochi che siano stati, perché ci obbliga a continuare a proporci i suoi stessi interrogativi su come potere “spezzare questa società” che fa male all’uomo, anche solo per sentirci vivi e consapevoli che “noi siamo gli ultimi di un tempo che nel suo male sparirà.”
Noi siamo condannati a questo ma Gigi è condannato per questo e per chi non voglia disperdere il suo ricordo, all’immortalità»
Pierangelo Favario, settembre 2021