Questo testo è apparso a maggio su il manifesto. E’ un testo interessante perché mette in discussione i presupposti del Piano Nazionale di Rinascita e Resilienza (Pnrr), ne discute i contenuti ponendo domande utili e stringenti.
E’ un testo collettivo scritto da: Mauro Gallegati, Stefano Lucarelli, Mario Noera, Roberto Romano, Anna Maria Variato, tutti economisti
Siamo consapevoli che la parola Resilienza, nell’ambito ecologico, è una contraddizione in termini perché significa tornare a come eravamo prima della pandemia?
Il Piano Nazionale di Rinascita e Resilienza è lo strumento attraverso il quale l’Italia attiverà il Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza, cioè prestiti pari a 122,6 e 68,9 mld di sussidi (di cui 69,1 che finanziano progetti già in essere), legato al Programma Next Generation EU (Ngeu) messo a punto dall’Unione europea per affrontare la crisi pandemica.
La lettura del Pnrr e la contestuale lettura del Def (Documento di economia e finanza) ci portano a sollevare delle domande che poniamo in questa sede nella speranza che agevolino un confronto aperto all’interno delle nostre istituzioni in un momento cruciale per il futuro della politica economica nazionale ed europea.
1. Perché l’attuale Def computa il Pnrr nel quadro tendenziale e non nel quadro programmatico, come dovrebbe essere logico trattandosi di una manovra pluriennale che si riferisce a uno stanziamento che avverrà su un periodo di sette anni? Si è consapevoli che così facendo si opera una “manipolazione” circa l’impatto macroeconomico delle misure adottate? Non sarebbe il caso di renderne conto ai cittadini attraverso un linguaggio chiaro e una stesura che sotto il profilo contabile sia trasparente?
2. Gli effetti del Pnrr sembrerebbero determinare un peggioramento del saldo commerciale, poiché tendono ad incrementare considerevolmente le importazioni italiane a breve termine. Non sarebbe il caso di riflettere su un’allocazione delle risorse che – compatibilmente con gli obiettivi del Ngeu – incentivi una ricerca finalizzata alla produzione dei nuovi beni e servizi che potrebbero allentare il vincolo estero di natura tecnologica, il quale, per inciso, è una delle cause più rilevanti dei ritardi della produttività del Paese?
3. Non sono forse sottostimati gli effetti moltiplicativi sottostanti al modello adottato? In effetti, l’elasticità del Pil allo stock di capitale pubblico è stimata a 0,17, mentre il moltiplicatore è stimato in un intervallo che va da 1,2 a 0,7, a seconda della presunta efficienza degli investimenti pubblici. Il modello (tecnicamente Dsge) adottato ha dei presupposti teorici che conducono a sottostimare gli effetti espansivi degli investimenti pubblici ma non è l’unica metodologia utilizzabile per valutare gli effetti della manovra; per esempio, Banca d’Italia utilizza anche il modello ecometrico trimestrale, che in passato si è rivelato più affidabile.
4. Sarebbe comunque utile considerare i limiti di un esercizio di stima che avviene senza tener conto del necessario cambiamento nella struttura economica che accompagna il passaggio ad un nuovo paradigma tecno-economico, come quello che lo stesso Ngeu dichiara inevitabile. Perché non costruire un Pnrr che provi a considerare più esplicitamente il cambiamento nella struttura economica, cioè nella composizione delle principali variabili macroeconomiche alla luce della dinamica e della proiezione dei settori industriali che comportano l’assunzione della funzione economica dello Stato?
5. Perché il Pnrr introduce un “ambizioso progetto di riforme” (della pubblica amministrazione, della giustizia, e della semplificazione della legislazione e promozione della concorrenza) mentre in altri Paesi europei si sta rafforzando la presenza dei pubblici poteri nei settori strategici rilevanti per la green economy?
6. Una parte rilevante del piano è dedicato alla cosiddetta “transizione verde”, cioè a misure che contribuiscano in primo luogo al raggiungimento degli ambiziosi obiettivi di decarbonizzazione fissati dalla Ue. Perché per ciascuno degli investimenti previsti non sono esplicitamente considerati gli impatti diretti ed indiretti che essi potenzialmente esercitano su emissioni climalteranti e ambiente?
7. Che significato assume nel Pnrr la parola resilienza? In ecologia resilienza indica la capacità di un sistema di ritornare al suo stato iniziale dopo una perturbazione. Se c’è una cosa che la crisi ambientale ci ha insegnato è che non possiamo tornare al business as usual, con il rischio di una perdita irreversibile della biodiversità.
8. Le perturbazioni che hanno danneggiato il nostro sistema economico e sociale non sono limitabili alla pandemia e comprendono anche le riforme strutturali che hanno indebolito le condizioni dei lavoratori in Italia. Perché non prenderne atto?
9. Nella consapevolezza che delineare un piano di struttura sia complicato in generale, ma in particolare dopo trent’anni di svuotamento della Pubblica amministrazione nella sua parte più progettuale, non sarebbe stato il caso di inquadrare il tessuto economico nazionale nel consesso europeo e intervenire dove si presentavano le maggiori distanze?
il manifesto, 4/5/2021