Caro Marco,
come sai, sono molto sensibile all’argomento e ti ringrazio per aver condiviso questo articolo che mi era proprio sfuggito. Anche grazie al confronto con persone come te, in questi anni, mi sono convinto che la scienza non sia neutrale. Non lo sono, infatti, le sue applicazioni e ormai raramente la scienza si muove senza avere scopi commerciali, più o meno condivisibili, in prospettiva. Esisterà certamente ancora la scienza pura, quella mossa dalla curiosità e dalla scoperta, ma sono in gran parte le necessità di sviluppo tecnologico e applicativo a indirizzare, con gli opportuni investimenti, il campo e le finalità dell’indagine scientifica.
Purtroppo, in questo periodo pandemico non mi pare proprio che l’attività scientifica ne sia uscita con un’immagine rafforzata. La colpa credo sia, almeno in parte ma non solo, della politica che ha cercato nella scienza sicurezze e giustificazioni per assumersi marginalmente le responsabilità delle decisioni difficili e spesso impopolari che le competono. La scienza come oracolo anziché come consigliere.
Pretendere dalle scienze sperimentali le stesse sicurezze che solo una scienza formale, come la matematica, può fornire non è stato intellettualmente onesto e ha generato proprio la confusione che si sarebbe dovuto, ma forse non si è voluto, evitare.
Per contro, anche l’opinione pubblica, con la sua comprensibile richiesta di risposte rapide e nette, ha contribuito ad accantonare il principio del dubbio che, seppur meno rassicurante, è invece alla base del progresso scientifico. Così, le premesse di una seria ricerca scientifica, quali la silenziosa e discreta raccolta dei dati durante l’attenta sperimentazione sul campo, il loro confronto e la loro organizzazione coerente in evidenze concordanti e discordanti con una teoria o un’ipotesi, sono state mandate all’aria e il progredire di una grande sperimentazione di massa è stata data in pasto giornalmente all’opinione pubblica, attraverso mezzi di informazione dai toni sempre più sensazionalistici, secondo i capricci della politica, per compiacere o per infastidire, a seconda dei casi, decisori o oppositori.
Senza contare la spasmodica volontà di protagonismo di alcuni scienziati che, tra altro, si sono lanciati anche in invettive moraleggianti che non competono loro, dimenticandosi che la scienza si occupa di spiegare come avvengano i fenomeni e non perché avvengano, fornendo solo ipotesi e spiegazioni confutabili e non dogma incontrovertibili. A cui , ovviamente, si sono aggiunte altre figure, che scienziati sicuramente non sono, ma hanno puntato sulla loro autorevolezza “social” per essere, in qualche modo, della partita.
Siamo anche arrivati a parlare di fede anziché di fiducia nella scienza, negandone la sua stessa funzione. Una funzione apocalittica in senso etimologico, cioè in grado di togliere, a volte solo in parte, il velo che cela il meccanismo che governa un fenomeno che, con il passare del tempo, si è trasformata in una funzione apocalittica in senso strettamente religioso di determinazione della finalità ultima di questo congegno.
Inoltre, il principio di autorità, che grande rilievo riveste in politica e in economia, è stato trasferito alla scienza, non del tutto ingenuamente, per dare credito alle posizioni maggiormente allineate. Infatti, alcuni virologi da salotto televisivo, in base alla non applicabilità di tale principio in ambito scientifico, si sono permessi di dare del rincoglionito a un noto premio Nobel, oppure lo hanno utilizzato per screditarsi a vicenda ma, allo stesso tempo, se ne sono serviti e ne hanno quindi rivendicato implicitamente la validità per giustificare la loro ossessiva presenza sui mezzi di informazione o per rivaleggiare con i loro colleghi, magari in vista della pubblicazione del loro ultimo e definitivo saggio.
Evidentemente, anche l’educazione scientifica promossa dalla scuola ha le sue pecche. Insieme Marco, abbiamo provato a lavorare in tal senso con i nostri velleitari tentativi di riconciliazione e riunificazione delle prospettive umanistiche e scientifiche. Ci siamo divertiti e forse abbiamo ottenuto anche qualche interessante risultato, ma penso che la scuola dovrebbe operare in modo più sistematico e strutturale in tal senso.
Inoltre, se pensiamo alla crisi climatica non è difficile constatare che anche in questo caso, le opinioni scientifiche vengano valorizzate in base alla loro maggiore o minore spendibilità politica ed economica del momento. Pensiamo a quanto accaduto recentemente in Germania. Immagino che i cambiamenti climatici abbiano avuto decisamente il loro peso nella determinazione di questo disastro ambientale. Ma anche la disinvoltura edilizia, più facilmente accettabile come malcostume italiano che come imperfezione del rigore socialdemocratico tedesco, avrà certamente avuto il suo peso. Eppure, le principali dichiarazioni, successive alla tragedia, hanno puntato quasi esclusivamente sul primo aspetto, cavalcando la grande onda della conversione green che rappresenta certamente una priorità per il futuro dell’umanità, ma anche un grosso affare economico finanziario sui cui speculare immediatamente.
Analoghe considerazioni potrebbero essere fatte in merito al mercato delle auto, per le quali la valutazione delle emissioni di CO2 oppure quella delle polveri sottili possono spostare la scelta ecologica dal motore a benzina verso quello diesel, oppure il contrario. Ora stanno emergendo interessanti e non sempre confortanti studi sulla reale impronta ecologica della produzione dei veicoli ibridi ed elettrici sui quali, come ben sappiamo, le politiche ambientali hanno già diretto prepotentemente il loro interesse.
La questione è che il tempo stringe, forse anche per il fatto di averne finora sprecato molto, ma per avere dei risultati maggiormente attendibili e condivisi ne servirebbe troppo altro che, presumibilmente, non possiamo più permetterci. Così ogni serio problema da affrontare diventa un’emergenza: sanitaria, ecologica, ambientale… Per questo le decisioni devono essere prese abbastanza in fretta e questo comporta che, anche per oggettiva mancanza di adeguata, convincente e condivisa prospettiva, la soluzione scelta venga investita di incontestabile sacralità, che certamente non le attiene, e venga presentata come l’unica possibile. Quindi, si è passati colpevolmente da una fase in cui il dibattito è durato troppo a lungo senza portare a probabili soluzioni a una fase per la quale le soluzioni devono essere prese quasi senza confronto perché non c’è più tempo per quest’ultimo.
Proseguendo su questa strada rischiamo il paradosso di costruire una società estremamente debole a causa delle proprie, spesso illusorie, certezze anziché una società davvero forte anche per merito dei propri dubbi. E, soprattutto, rimane sempre forte il sospetto che questa situazione non ci sia capitata tra capo e collo come un fatale imprevisto, ma sia semplicemente il risultato di una lenta ma inesorabile china alla quale nessuno ha potuto o, ancor peggio, voluto porre rimedio. luglio 2021
Alessandro Seno