Questo intervento è apparso su il manifesto del 15 luglio, a firma di Giampaolo Contestabile, lo riportiamo per intero perché fa il punto della situazione drammatica nella quale versa la Colombia. Nel silenzio complice del governo italiano che ha con la Colombia stretti rapporti, esclusivamente in materia di collaborazione militare e di polizia per la lotta contro il narcotraffico, nel quale i governi corrotti della Colombia sono sempre stati implicati
Uccisioni e arresti arbitrari, uso sproporzionato della forza, violenza di genere, etnica e razziale, giornalisti e operatori sanitari nel mirino e tante denunce di sparizioni forzate dall’inizio dello sciopero. Anche la Corte interamericana dei diritti umani condanna la repressione.
Secondo i dati dell’organizzazione non governativa Indepaz in Colombia sono stati commessi 50 massacri durante questi primi mesi del 2021 in cui hanno perso la vita 189 persone. Dall’inizio delle mobilitazioni del “Paro Nacional”, lo scorso 28 aprile, secondo la rete di organizzazioni Defender la Libertad più di 3mila persone sono state arrestate (la maggior parte in modo arbitrario), 106 hanno subito violenze di genere da parte delle istituzioni, 84 sono state uccise e si sospetta che 75 siano state vittime di sparizioni forzate.
La stessa Corte interamericana per i Diritti umani (Cidh), dopo aver superato l’ostilità da parte del presidente Duque ed essere riuscita a portare a termine la sua indagine indipendente, ha pubblicato un report con diverse raccomandazioni, anche se non vincolanti, che il governo colombiano dovrebbe adottare per garantire il diritto alla protesta. Una consiste nel separare la gestione delle forze di polizia dal ministero della Difesa. La gestione dell’ordine pubblico in Colombia assomiglia infatti a uno scenario bellico alimentato da una narrazione del nemico interno. Scardinare questo sodalizio tra polizia e Difesa potrebbe limitare l’utilizzo di armi letali contro i manifestanti e il dispiegamento di forze militari. La Cidh ha messo anche in evidenza l’uso sproporzionato della forza, la violenza di genere, etnica e razziale, gli abusi nei confronti di giornalisti e operatori sanitari e le denunce di sparizioni forzate che si sono verificate dall’inizio dello sciopero.
Il presidente Iván Duque non ha gradito i risultati dell’inchiesta e ha commentato in modo sprezzante che «nessuno può chiedere a un Paese di essere tollerante nei confronti di azioni criminali». La criminalizzazione delle proteste, e in particolare dei blocchi stradali, che sono stati valutati invece come strumenti di protesta legittimi da parte della Cidh, è una strategia rodata dell’élite colombiana che ha fatto saltare i tavoli di negoziazione tra il comitato di rappresentanza del “Paro Nacional” e il governo. Anche la sindaca progressista di Bogotà, Claudia López, ha parlato di vandalismo e criminalità per riferirsi ai blocchi stradali e alle mobilitazioni più radicali, delegittimando i presidi solidali che sono nati in diverse zone della capitale.
Se da un lato il dialogo con le istituzioni è risultato non solo impossibile ma in alcuni casi anche controproducente, stanno crescendo invece le esperienze di lotta dal basso che sperimentano nuove forme organizzative e modalità di autogoverno che si stanno consolidando a prescindere dalla corruzione dell’apparato statale. A Cali, dove è scattata la prima scintilla del “Paro”, è nata l’Assemblea popolare delle resistenze che riunisce i giovani della “primera linea“, cioè chi difende i cortei e i presidi dagli attacchi delle forze dell’ordine, in più di 10 diversi punti della città.
Dallo stato del Cauca la Minga indigena, formata da centinaia di integranti di organizzazioni indigene provenienti da diversi Stati colombiani, giovani studenti e studentesse, membri di tifoserie organizzate e di altre comunità del Paese, inizierà un viaggio per incontrare altre esperienze di lotta nei territori e arrivare a Bogotà il 20 luglio per la festa dell’Indipendenza. L’obiettivo è quello di consolidare i legami tra diverse comunità e intessere nuove collaborazioni attraverso per esempio lo strumento della “conversa nacional” dove si discutono e condividono le esperienze di lotta e organizzazione.
Più di 300 organizzazioni locali provenienti da diverse regioni del Paese si incontreranno invece a Cali dal 17 al 20 luglio per aderire all’Assemblea popolare nazionale. Con l’obiettivo di promuovere le pratiche di organizzazione politica a partire dal sapere popolare, collettivo e comunale e articolare le lotte tra comunità afro discendenti e contadine, popoli indigeni, movimenti sociali, vittime di violenza e discriminazione di genere, lavoratori e lavoratrici, dissidenze sessuali, movimenti di persone con capacità diverse, prime linee, organizzazioni studentesche, giovanili e di autodifesa etnica.
«A parar para avanzar», continuare a scioperare per avanzare, è lo slogan che guida le proteste da ormai più di 70 giorni e sta trasformando la coscienza politica del popolo colombiano che chiede un’alternativa democratica e inclusiva all’attuale regime.
il manifesto 15/7/2021