L’indignazione moraleggiante che esprime la sinistra (anche/soprattutto quella dei “movimenti sociali”) di fronte a casi assurdi come l’uccisione di Adil durante un picchetto, o i massacri nelle carceri (per citare due esempi) non sono altro che il sintomo (che per me si trasforma anche in un augurio) della sua decomposizione.
La “sinistra” non è più una forza sociale, l’incapacità di agire una risposta di fronte ad episodi di questa gravità ne sono un chiaro segnale.
Il cadavere vampirico della sinistra vaga in cerca di spazi da occupare, non cosciente di essere poco più di un parassita capace soltanto di succhiare quel poco di vitalità che emerge dagli spazi che la sua decomposizione ha aperto.
Sta “sinistra”, dalla quale purtroppo provengo e dal cui abbraccio mortifero non mi sono ancora liberato, è priva di desideri, di slanci vitali, è mossa solo da rassegnazione, cinismo e rinuncia.
Siamo ridotti ad esistenze misere, capaci (forse) di elaborare qualche analisi o critica (spesso nemmeno troppo lucide), che si ferma alla pura constatazione deprimente, magari convinti che esprimere una vaga critica paracula ci abbia elevati ad una qualche forma di agire.
Dall’altra parte ci si masturba su immaginifiche rivolte dei robot, della natura (o del verde), dei demoni o del postumano, tutto ciò che possa consentire di sollevare la nostra coscienza, senza assumerci rischi o responsabilità.
Ci si spaventa all’idea di poter provare emozioni poco più intense, si preferisce l’atto individuale della rinuncia alla possibilità di legarsi ad altri in una lotta, o in una rivolta, o quel che si vuole…
La miseria della sinistra non è quindi soltanto politica, è proprio inscritta nel profondo, è una miseria esistenziale di chi in vario modo si trova legato a questa pseudo comunità in disintegrazione.
Per cercare un po’ di vita, di spinta emotiva e lucida, bisogna tagliare quel cordone ombelicale, volgere lo sguardo altrove, dirigere i corpi nell’incontro di qualcosa e qualcuno che sia veramente altro. Qualcosa o qualcuno che sia ancora un po’ in grado di provare delle passioni e non viva in questo stato di calcolata depressione latente e permanente.
Nicolò Molinari