Draghi e noi :: Chi sono i veri conservatori della nostra scuola …di M.Alberti e G.Benedetti

Qui, un’interessante riflessione, apparsa su il manifesto del 13/7, sulla scuola “moderna” che vorrebbe ancora farsi “impresa”.

Chi sono i veri conservatori della nostra scuola
M.Alberti e G.Benedetti

Con la pandemia la scuola è ritornata al centro dell’attenzione, per la necessità di sospendere la didattica in presenza e ripiegare su forme di insegnamento a distanza.
Il lavoro dei docenti è stato riconosciuto come cruciale sia sotto il profilo della formazione dei giovani, sia per la società nel suo insieme.

Ciò nonostante, la crisi sanitaria non è stata l’occasione per un ripensamento di fondo sul funzionamento della scuola, i cui mali non risalgono sicuramente agli ultimi anni, ma derivano da una sequenza di riforme iniziate negli anni Novanta, su impulso – e su questo non si è mai fatta un’adeguata riflessione – di forze politiche e gruppi intellettuali che si riconoscevano nello schieramento progressista.
Molti di costoro, con un artificio retorico fin troppo facile, tendono a liquidare le perplessità espresse da molti docenti sull’attuale sistema scolastico come forme di mero conservatorismo, quando invece sono proprio le attuali tendenze riformatrici a costituire un pericoloso passo verso la destrutturazione della scuola pubblica democratica.

L’autonomia scolastica si è tradotta in un malsano principio di concorrenza fra gli istituti, sempre più attenti a corrispondere a presunte esigenze dei «territori» e ad attirare gli studenti e le loro famiglie (visti come «utenza») con una miriade di attività e progetti che tendono a disperdere le energie e la concentrazione di chi vive la scuola.

L’autonomia professionale e la libertà di insegnamento dei professori è stata compressa fra le tendenze burocratico-aziendaliste dei nuovi dirigenti scolastici (sempre più lontani, anche sotto il profilo dell’inquadramento giuridico e retributivo, dal sentire degli insegnanti) e le pretese di studenti e famiglie alla ricerca di facili gratificazioni in termini di valutazioni, certificazioni e percorsi scolastici semplificati.

L’attività didattica risulta oggi sempre più astratta, appesantita com’è dall’adozione di forme stereotipate di progettazione e valutazione, che privano i docenti della creatività e del tempo necessario per organizzare in maniera autonoma il loro lavoro.

Tale formalismo non è stato minimamente intaccato da un pragmatismo fine a sé stesso, fatto passare per attenzione agli sbocchi lavorativi degli studenti, ma di fatto volto a immaginare il tempo della scuola come una sorta di formazione professionale, laddove l’istruzione obbligatoria dovrebbe innanzi tutto fornire agli studenti le conoscenze di base, a cominciare dall’alfabetizzazione, necessarie per lo sviluppo di qualunque «competenza» lavorativa.

Il risultato è una svalutazione sistematica dell’ora di lezione in classe, quasi fosse un’attività residuale, e non, invece, il vero fulcro del rapporto educativo ed empatico fra la parola e l’emotività dell’insegnante e gli alunni. Anche la parola d’ordine, ormai inflazionata, della didattica personalizzata, in assenza di una significativa riduzione del rapporto docenti/alunni si è tradotta soltanto nella proliferazione di certificazioni di Bisogni educativi speciali (Bes), ancora una volta gestite in chiave burocratico-formalistico.

La scuola ha assorbito le sollecitazioni del mondo imprenditoriale e i miti dell’attuale sistema di mercato, come la fiducia acritica verso le nuove tecnologie digitali e la spasmodica ricerca del successo individuale, rapido e senza ostacoli. Ad aggravare questa situazione si è aggiunta una politica del reclutamento del personale docente caotica, frammentaria e spesso del tutto incapace di formare e selezionare come si dovrebbe gli insegnanti.

Un recente documento stilato da un gruppo di docenti, intitolato Manifesto per la nuova Scuola, ha il merito di evidenziare queste e altre disfunzioni dell’attuale scuola italiana. Lo hanno sottoscritto molti intellettuali e docenti universitari, da tempo attenti alle pericolose deformazioni subite dal sistema scolastico.
Chissà se l’intero mondo accademico riuscirà finalmente a fuoriuscire da quella separatezza rispetto alla scuola che lo ha contraddistinto negli ultimi decenni, acquisendo la consapevolezza che il ramo che lo sostiene poggia su quello della scuola.

il manifesto, 13/7/2021

2 commenti

  1. Esistono cose condivisibili, ma il taglio é sempre dalla parte degli insegnanti vittima del sistema.
    Mai che lo sguardo parta dai ragazzi, dal loro non essere mai considerati come possibili artefici del cambiamento, e mai che si riconosca loro delle competenze, mai che si dimostri stima dalla quale partire.
    Ripensare la scuola in termini di didattica esperienziale per migliorare l apprendimento: una scuola fuori dall’aula dove si conosce chi lavora, chi gestisce la cosa pubblica, chi viene messo sistematicamente ai margini: il territorio è un libro aperto dove si trovano spunti di diritto, scienze, chimica, letteratura, da approfondire poi.

    Ma questo necessita di una ricerca da parte di tutti, mondo adulto in primis e fa tremare i pilastri sui quali sempre si è fondata la scuola vale il rapporto di potere, di giudizio e anche di stroncamento che non hanno nulla a che vedere con la dimensione rispettosa del processo di autentico apprendimento

  2. Sì Sonia hai ragione, manca un’idea di apprendimento come esperienza sociale che parta dai ragazzi ma…, limitando lo sguardo alla scuola superiore, l’unica che conosco davvero, credo non sia possibile alcun cambiamento se non spinto, immaginato, voluto dagli studenti. E’ accaduto così in passato! In seguito, qualsiasi sforzo è apparso burocratico, nella migliore delle ipotesi, ma spesso sono stati tecnicismi pericolosi, perché per il mondo degli adulti fuori e dopo la scuola c’è l’impresa. L’impresa con le sue tecnologie produttivistiche, questo è oggi l’orizzonte della scuola superiore. Contro questo gli insegnanti credo debbano lottare, in attesa (ma stimolandoli) che gli studenti prendano la parola…
    marco

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