Dopo B’Tselem, Human Rights Watch, con un rapporto di 213 pagine, accusa le autorità israeliane di aver imbastito un regime di segregazione razziale e discriminazione nei Territori occupati palestinesi e verso i palestinesi cittadini israeliani. E invita Onu e Corte penale a investigare.
“Negare a milioni di palestinesi – spiega Kenneth Roth, direttore esecutivo di Hrw – i loro diritti fondamentali, senza una giustificazione legittima e solo sulla base del loro essere palestinesi e non ebrei, non è solo una questione di occupazione abusiva. Queste politiche, che garantiscono agli ebrei israeliani gli stessi diritti e privilegi dovunque essi vivano e discriminano i palestinesi secondo gradi diversi a seconda di dove risiedano, riflettono una politica di privilegio di un popolo a danno di un altro“.
Casi studio, documentazione, analisi approfondita di documenti governativi israeliani, dichiarazioni ufficiali sono il cuore del rapporto e dimostrano l’esistenza di “una politica governativa volta a mantenere il dominio degli ebrei israeliani sui palestinesi e gravi abusi commessi contro i palestinesi dei Territori occupati”, Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme est.
Anche i palestinesi cittadini israeliani vivono in uno stato perenne di discriminazione, attraverso “leggi che permettono a centinaia di piccole città israeliane di escludere i palestinesi”
Nei Territori occupati dal 1967, secondo Hrw, da tempo Israele lavora per massimizzare la terra a disposizione delle comunità israeliane e di minimizzare quella a favore dei palestinesi, concentrati in aree piccole, delimitate e densamente popolate, al fine di “mitigare quella che ha apertamente definito com ‘minaccia’ demografica”. I residenti, a loro volta, sono perseguiti attraverso la “draconiana” legge militare israeliana, che non si applica ai coloni che risiedono illegalmente negli stessi Territori (l’ong aggiunge che davanti alle corti militari israeliane vengono condannati il 99,7% dei palestinesi imputati di un crimine).
L’elenco prosegue: limitazione al diritto al movimento, la chiusura di Gaza, il regime dei permessi per potersi muovere, la confisca di oltre un terzo delle terre della Cisgiordania, il trasferimento forzato di migliaia di palestinesi dalle loro case, il rifiuto a garantire la residenza a centinaia di migliaia di palestinesi e a riconoscere permessi di costruzione. “Tutto questo – dice Hrw – si qualifica come regime di apartheid, anche se Israele è comunemente visto come una democrazia che mantiene un’occupazione temporanea”.
Il lungo rapporto si conclude con l’appello alle autorità israeliana smantellare “ogni forma di repressione e discriminazione” e si rivolge alle istituzioni internazionali, in particolare alla Corte penale internazionale e le Nazioni Unite, invitandole a indagare e perseguire i responsabili del sistema israeliano di apartheid.
Lo scorso gennaio un rapporto simile stilato dall’organizzazione per i diritti umani israeliana B’Tselem sollevò un polverone, seguendo ad accuse simili mosse da altre ong e da singole personalità, anche israeliane.
Simili prese di posizioni si sono fatte più circostanziali dal 2018 quando il parlamento israeliano ha approvato la cosiddetta legge dello Stato-nazione, che definisce Israele “la casa nazionale del popolo ebraico”: “Il diritto di realizzare l’autodeterminazione in Israele – disse all’epoca il premier Netanyahu – appartiene unicamente al popolo ebraico”. Di fatto la legittimazione di una discriminazione che i palestinesi cittadini israeliani denunciano dal 1948 ma che è oggi legge fondamentale dello Stato.
da Nena News