La Corte penale internazionale, Israele, la Palestina, di Domenico Gallo
Mentre in Italia impazza il toto-Draghi, è passata sotto silenzio una notizia di notevole rilievo. Il diritto internazionale dei diritti umani ha emesso un vagito, un lampo ha squarciato per un attimo le tenebre di un sistema internazionale che non riconosce altra legge che non sia quella della forza, altro diritto che non sia basato su una politica di potenza. Il 5 febbraio, la Pre-Trial Chamber (una sorta di Tribunale preliminare), accogliendo le richieste formulate dalla Procuratrice Fatou Bensouda, ha statuito che la Corte penale internazionale ha competenza a giudicare i crimini di guerra e contro l’umanità commessi da chiunque in Palestina, vale a dire nei territori occupati da Israele dal 1967, Gaza e la Cisgiordania, inclusa Gerusalemme est.
Con la loro decisione i giudici hanno respinto la tesi di Israele dell’inammissibilità dell’intervento della Corte poiché la Palestina non è uno Stato. «La Palestina – affermano – ha accettato di sottomettersi ai termini dello Statuto di Roma della Corte penale internazionale e ha il diritto di essere trattata come qualsiasi Stato per le questioni relative all’attuazione dello Statuto». Un esito nient’affatto scontato a cui i nemici della giurisdizione penale internazionale, in primis Stati Uniti e Israele si sono sempre tenacemente opposti. In particolare gli Stati Uniti sotto Trump, con il plauso di Israele, sono arrivati alle minacce e alle sanzioni personali nei confronti degli organi della Corte. Ciononostante la Procuratrice non si è fatta intimidire e ha dato ascolto al grido di dolore proveniente dalle terre martoriate della Palestina.
Una volta riconosciuta la competenza della Corte, la Procura ha la strada spianata per avviare le indagini sulle numerose denunce relative ai crimini attribuiti alle forze armate israeliane durante l’operazione Margine protettivo, la guerra del 2014 che ha visto Israele bombardare intensamente per settimane Gaza uccidendo circa 2300 palestinesi (tra cui 551 bambini) e ferendone altri 11mila. Una guerra che si è inserita in una sordida trama di violenze e oltraggi all’umanità che veniva da lontano ed è proseguita nel tempo con altri episodi feroci, come la strage di Pasqua del 2018. Nell’occasione l’Associazione Nazionale Giuristi Democratici osservò in un suo comunicato che:
«L’orribile strage di civili palestinesi compiuta da cecchini militari israeliani costituisce con drammatica evidenza un nuovo crimine contro l’umanità compiuto dal governo Netanyahu. La sparatoria è cominciata quando la manifestazione dei palestinesi era ancora lontana dalla linea di confine e si è tramutata in un vero e proprio tiro al bersaglio contro persone inermi in fuga, come attestato dai filmati. Il bilancio di almeno 16 vittime e centinaia di feriti parla chiaro […]. Si tratta quindi con ogni evidenza di un crimine contro l’umanità perseguibile ai sensi dello Statuto della Corte penale internazionale, articolo 7, comma primo, lettera a. È quindi necessario e urgente che, anche per evitare nuovi massacri e l’alimentazione ulteriore dell’odio promosso dal Governo israeliano, la Corte penale internazionale intervenga, aprendo il procedimento contro i responsabili militari e politici israeliani da tempo richiesto dall’Autorità palestinese che ha aderito allo Statuto».
Oggi quell’auspicio è diventato realtà, la Corte penale ha avviato il procedimento. Immediata è stata la reazione del premier israeliano Netanyahu che ha bollato come «puro antisemitismo» il passo mosso dai giudici internazionali. «La Corte – ha commentato con rabbia – ignora i crimini di guerra veri e al suo posto perseguita lo Stato di Israele dotato di un forte regime democratico e che rispetta lo Stato di diritto. [La decisione] va contro il diritto dei paesi democratici di difendersi dal terrorismo». Poi ha avvertito che «in qualità di primo ministro di Israele, posso assicurarvi questo: combatteremo questa perversione della giustizia con tutte le nostre forze».
Noi non abbiamo nessun dubbio che Netanyahu manterrà la sua promessa di non farsi processare, però la furia con cui ha accolto la notizia ci ha fatto pensare alla furia di Macbeth quando seduto al tavolo del suo banchetto vede comparire il fantasma di Banquo. Forse questa evocazione dei crimini commessi in terra di Palestina ha fatto trasalire Netanyahu che ha visto materializzarsi accanto a lui il fantasma di Rachel Corrie, la giovane pacifista americana ventitreenne seppellita viva da un buldozer israeliano il 15 marzo del 2003 e, come Macbeth, ha reagito scagliandosi contro il fantasma evocato dalla giustizia internazionale.
da Volerelaluna, Domenico Gallo, 12/02/2021