Noi ricordiamo perché non possiamo dimenticare.
Quelle storie ci sono state raccontate dai padri o dai nonni; le abbiamo studiate, così sappiamo la ferocia delle guerre. Anche perché osserviamo il mondo e le tante guerre che lo devastano, alle quali l’Italia contribuisce vendendo armi.
Prima nel 1915, spinti da nuovi interessi economici a dalla volontà nazionalista di espansione coloniale, poi nel 1940, quando il Fascismo portò l’Italia in guerra spinto da solidi interessi economici e dall’illusione imperiale di una “Italietta” povera e pallida. Una continuità catastrofica che solo l’Italia della Costituzione repubblicana, frutto della partecipazione popolare alla lotta di Resistenza, ha potuto spezzare.
Eppure c’è chi prende a pretesto i drammi delle guerre per tessere le lodi della nazione (colpevole), utilizzando il trinomio “Dio, patria e famiglia” vorrebbe dare sacralità a ciò che è solo il prodotto di aggressioni, rovine e morte.
Ma noi ricordiamo, non solo un giorno all’anno, e non abbiamo bisogno di negare la storia.
Noi ricordiamo che nel 1919 iniziò la colonizzazione. A Trieste iniziò la persecuzione degli sloveni, nel 1920 fu bruciato il loro centro culturale più grande e chiusi tutti i loro circoli; la resistenza slovena fu duramente repressa con centinaia di processi e di condanne, e decine di fucilazioni. Tutti i cognomi furono italianizzati. In Slovenia e Croazia furono chiuse le scuole e reso obbligatorio l’insegnamento della sola lingua italiana. Lì furono italianizzati i toponimi. Nel 1920 a Pola (Pula), in Istria, Mussolini diceva: “Di fronte ad una razza come la slava, inferiore e barbara non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone […] i confini dell’Italia devono essere: il Brennero, il Nevoso e le Dinariche […] io credo che si possano più facilmente sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani”
Noi ricordiamo che l’Italia fascista dal 1941 partecipò all’occupazione militare della Slovenia e della Croazia con i Nazisti e si fa complice di deportazioni e massacri. In Croazia tra il 1942 e il 1943 l’Italia aprì un campo di concentramento nell’isola di Arbe (Rab) dove passarono circa 10.000 deportati e trovarono la morte per fame, stenti o fucilati circa 1.500 persone. Non ci risulta che le autorità italiane siano mai andate lì a deporre una corona di fiori.
In quegli anni a Gorizia (1940) Mussolini dice: “Sono convinto che al terrore dei partigiani si deve rispondere col ferro e col fuoco. Deve cessare il luogo comune che dipinge gli italiani come sentimentali incapaci di essere duri quando occorre. …questa popolazione non ci amerà mai. Non vi preoccupate del disagio della popolazione, lo ha voluto! Ne sconti le conseguenze. …Non sarei alieno dal trasferimento di masse di popolazione”. In quello stesso anno in un discorso tenuto alla Camera dei Fasci e delle Corporazioni affermò: “…quando l’etnia non va d’accordo con la geografia, è l’etnia che deve muoversi; gli scambi di popolazioni e l’esodo di parti di esse sono provvidenziali perché portano a far coincidere i confini politici con quelli razziali».
Mentre proprio a Trieste funziona l’unico “campo di sterminio” in Italia,la Risiera di San Sabba, nel quale transitarono circa 8000 deportati e 3500 passarono attraverso i camini dei forni crematori!
Noi ricordiamo che in questo contesto si sviluppa la tragedia del fronte orientale. Una tragedia che colpirà anche innocenti travolti dall’odio e dalle vendette prodotte da una guerra disperata. Così migliaia di persone (non si hanno dati certi e nemmeno riscontri certi) scompaiono: fucilate perché fascisti e collaborazionisti o vittime innocenti delle vendette e delle ritorsioni della “guerra civile” e centinaia gettate nelle foibe. La questione delle foibe non è una fiction che si possa spettacolarizzare con lacrime e retorica, è una tragica circostanza della storia sulla quale si deve riflettere con rigore e con pietà.
Noi ricordiamo che dopo la guerra nell’arco di una decina di anni molti abbandonano l’Istria e la Dalmazia, circa 300.000 persone, tra queste anche 30.000 croati e 10.000 sloveni. Certamente una parte perché compromessa con il governo fascista, ma la maggioranza perché non volevano vivere in un sistema socialista, nonostante che gli fosse stata offerta la possibilità di scegliere la cittadinanza. Quei profughi furono trattati con diffidenza dallo Stato italiano, che costruì per loro insediamenti nelle periferie delle città e furono utilizzati come massa di voti anticomunisti dalla Democrazia Cristiana e dal Movimento Sociale.
Il silenzio caduto per anni su questo pezzo di storia ha a che fare con la mediocrità di un ceto politico, interclassista e trasformista, che per quasi cinquant’anni ha dialogato con la destra neofascista direttamente o attraverso elementi delle Forze dell’ordine e dei Servizi segreti…
Eppure oggi che dovremmo continuare a riflettere su tutto questo, oggi che dovremmo continuare la ricerca per capire e per condannare tutte le guerre, i “neofascisti in grigio” (come recita il nuovo libro del prof. Claudio Vercelli) colgono l’occasione per costruire edifici ideologici che inseguono miti nazionalisti, riferendosi a improbabili identità culturali e a discendenze imperiali millenarie, con la complicità delle istituzioni impegnate nella caccia al facile consenso politico-elettorale.
Ma noi ricordiamo perché non possiamo dimenticare. Così all’ostinazione identitaria, al nazionalismo e al degrado culturale, rispondiamo con l’antifascismo attivo, dicendo no alle guerre e avendo pietà per i morti.
Coordinamento Biella Antifascista
Biella, 10/2/2021