Una sinistra moderata, riformista, radicale o rivoluzionaria che non indaghi in modo approfondito il capitalismo contemporaneo, cosiddetto della “globalizzazione”, è colpevole perché rinuncia a comprendere le condizioni nelle quali si trova ad agire e i mutamenti intercorsi all’interno dei processi produttivi e riproduttivi. La carenza più grave è non comprendere come il capitalismo contemporaneo non abbia più bisogno del consenso politico, perché dotato di potenti mezzi di persuasione e controllo: rappresentati dalle nuove forme assunte dalla produzione, dal consumismo di massa e dai diffusi mezzi di comunicazione digitale, quali, ad esempio, i social network.
La “crisi della politica”, identificata nella distanza tra i partiti e gli elettori, tra i palazzi del potere e i cittadini, è la conseguenza della riduzione del peso della politica nella gestione dei processi di decisione, perché questi sono sempre più sotto il controllo di soggetti economici “globalizzati” (multinazionali e centri finanziari) che si riparano dietro a organismi sovranazionali quali il FMI, il WTO, ecc.
L’accento posto sulla governabilità, quale principale funzione politica praticabile, è paradossale: è il segno inequivocabile dell’impotenza della politica, tradizionalmente intesa, all’interno di un capitalismo che sempre più usa lo Stato esclusivamente come comitato di controllo della finanza pubblica e dell’ordine sociale. Le svolte autoritarie in tutto il mondo, non solo in Occidente, in presenza di un continuo aumento dell’astensionismo, sono il segno di un processo liberticida che conferma che la crisi della politica è anche crisi della democrazia rappresentativa.
Alla crisi della democrazia si può rispondere solo evitando di ricorrere a strumenti politici che i recenti mutamenti dei processi produttivi e le nuove tecnologie di controllo sociale hanno spazzato via o reso obsoleti. La storia indietro non torna: abbiamo bisogno di metter in moto un processo inedito, che prenda atto della condizione presente quale risultato di una lotta di classe condotta dal capitale che, per ora, abbiamo perso.
Le rivolte sempre più diffuse in tutto il mondo (non solo in occidente) con ragioni, cause e modalità diverse ci dicono che le pratiche della politica hanno cambiato verso, che siamo usciti definitivamente dal ‘900. L’imprevedibile ha preso il sopravvento e l’azione politica è esercitata nel momento stesso in cui nasce il bisogno e lì produce lo scontro ed esercita la critica collettiva (spesso di massa) più radicale!
Per questo non ci sono fronti di sinistra o di svolta liberal democratica o riformismi, comunque legati a pratiche politiciste, capaci di rispondere alla sfida di classe che questo capitalismo, incapace di offrire opportunità e produttore di ingiustizie funzionali alla sua sopravvivenza, ha lanciato. Lo scontro si gioca tutto fuori dai palazzi, nella società: nel variegato mondo del lavoro, nella scuola, sul territorio.
Si deve lavorare per aprire varchi e contraddizioni ovunque sia possibile: attraverso il sabotaggio, il contrasto radicale e il boicottaggio delle scelte politiche volte a lasciare immutati o peggiorare i rapporti di forza tra istituzioni e cittadini, tra datore di lavoro e lavoratore, tra istituzioni scolastiche e studente, tra merci e consumatori…
Si deve dar vita a spazi liberati e autogestiti non per supplire alle carenze del sistema, ma aprire alternative in grado di raccogliere il dissenso e la critica, contrastare e superare le pratiche autoritarie, privatistiche e sessiste in atto e rendere egemoni pratiche comunitarie, pubbliche e transfemministe.
Biella, settembre 2019
Marco Sansoè
Mi sento talvolta un cittadino della strada, uno che fa fatica a capire tutte le parole che girano.
Sono anch’io convinto di non contare nulla nelle decisioni che alla fine mi contano, alle decisioni che i giornali-tele dicono io sia adeguato. So di non essere io a schiacciare i pulsanti e a decidere per me, almeno eco-poli-socia-lmente.
Se evito la politica attuata al momento, se evito di ascoltare, allora mi sento ancora più perso, ancora più assente.
Ditemi, cosa fare?
Variegato ed ingestibile: ho appena lasciato il mondo del lavoro perchè la multinazionale non mi voleva più, ora vago per il territorio e non scopro spazi gestibili.
Non capisco cosa possa essere il sabotaggio senza creare rotture che coinvolgono persone che seppure coinvolte, giudico innocenti.
Il boicotaggio delle scelte politiche cosa significa? Evitare la politica, i movimenti e partiti? Spazi liberati?
Niente resta uguale a se stesso, la contraddizione muove tutto…
Niente e tutto…
Costruire “comunità politiche”: centri sociali, comitati antifascisti, associazioni solidali, RSU nei luoghi di lavoro, comitati studenteschi, ecc.
Capaci di svolgere un ruolo critico, di disturbo, di resistenza alla stupidità, al nuovo fascismo, al riformismo governista, alle grandi opere, ai grandi insediamenti commerciali, alle privatizzazioni, alla gentrificazione, ecc.
Conosci dei Partiti che abbiano questa ipotesi di azione e di intervento, lontani dall’orizzonte politico della rappresentanza ma interni a percorsi di partecipazione dei cittadini?