La “politica del palazzo”, quella che pone al centro “la governabilità” come unico valore e fine dell’azione politica, ha ancora fallito a sinistra: l’accordo Psoe e Podemos non si farà. Una sconfitta o una soluzione inevitabile ?
L’articolo, apparso su il manifesto, ne analizza fatti e risvolti: ne esce un quadro della sinistra molto simile a quello di altri paesi europei. Non è solo una questione di autoreferenzialità e litigiosità delle sinistre, a noi sembra sempre di più l’inadeguatezza della sinistra alla fase storica in corso.
Da una parte una “sinistra moderata” che ha sposato pienamente le compatibilità economiche di una società che pone al centro l’impresa con le indiscutibili regole del profitto e del mercato, accettate senza riserve. Dall’altra la “sinistra radicale” che non resiste alla tentazione di andare al governo, con l’illusione che questo possa essere un passo necessario per poter cambiare la società.
A noi pare che questo sia un “gioco” già visto, praticato e fallito in molti paesi in Europa (anche nel nostro). In questa fase difficile diventa prioritaria l’azione sociale diretta, senza mediazioni politiche, un’azione di lungo periodo per mutare i rapporti di forza sociali. Un’azione collettiva capace di gettare sabbia negli ingranaggi e contemporaneamente mettere in discussione le forme dell’egemonia culturale neoliberista, per sostituirla con un pensiero critico in grado di favorire la crescita di una movimento sociale: una lotta di classe nuova, capace di interpretare le dinamiche della società contemporanea.
L’unità delle sinistre è fuori dalla storia presente, non è praticabile e non serve per cambiare la società, la società non si cambia andando al governo, ma lavorando al suo interno, diffusamente e nel profondo, per mutare i rapporti di forza sociali!
Sinistra. Spagna senza governo, il fallimento in quattro parole
Tutto ciò che il Psoe ha fatto dopo le elezioni l’ha fatto in questa chiave: raggiungere l’obiettivo del governo monocolore o far fallire l’investitura, incolpare di questo Podemos e tornare a elezioni aumentando il proprio consenso ai suoi danni.
Loris Caruso
Perché in Spagna è fallita l’investitura di Pedro Sanchez? Le ragioni si possono riassumere in quattro parole.
La prima è un nome proprio: Ivàn Redondo, lo spin doctor di Pedro Sanchez, che ne guida le strategie comunicative e quindi quelle politiche.
La strategia di Sanchez è stata dall’inizio quella di governare da solo in un governo monocolore, grazie all’astensione di qualsiasi gruppo parlamentare (ha chiesto l’astensione anche al Partito popolare e a Ciudadanos).
Tutto ciò che il Psoe ha fatto dopo le elezioni l’ha fatto in questa chiave: raggiungere l’obiettivo del governo monocolore o far fallire l’investitura, incolpare di questo Podemos e tornare a elezioni aumentando il proprio consenso ai suoi danni. Le trattative sono state irretite in questa strategia comunicativa.
Per i socialisti la guerra del consenso contro i competitori di sinistra valeva più di un governo. Sanchez, sotto la guida di Redondo, ha dapprima rifiutato un governo di coalizione, poi ha detto che nel governo non doveva esserci Iglesias. Una volta ritiratosi quest’ultimo, ha avanzato proposte che prefiguravano una presenza di Podemos quasi decorativa, con pochi ministeri minori e senza capacità di spesa. Proposte fatte per essere rifiutate.
Ogni mossa politica di Sanchez è stata una mossa comunicativa, funzionale a raggiungere l’effetto retorico e discorsivo che si era prefisso. Anche in Spagna, come in un numero crescente di sistemi politici, la dimensione comunicativa incorpora quindi e ingloba quella politica.
La seconda parola è Lavoro. Lavoro come Ministero del lavoro. La rottura tra Psoe e Unidas Podemos (UP) è avvenuta sul rifiuto socialista di riconoscere a UP la guida di questo dicastero, motivata dal fatto che “Podemos è inquietante per la Confindustria spagnola”.
Una nobile motivazione che fa trasparire quali siano i referenti sociali dei socialisti. Quella che appare come una rottura “per le poltrone” è però una rottura sui contenuti: UP voleva questo ministero per abolire la riforma del mercato del lavoro del Partito Popolare e aumentare il salario minimo a 1200 euro.
Due cose su cui i socialisti, probabilmente sentita la Confindustria, non sono d’accordo. Bisogna ragionare sulla decantata fine della centralità del lavoro nelle dinamiche politiche contemporanee: la nascita di un governo è stata ostacolata per evitare che la sinistra guidasse le politiche su questa materia. Le élite sanno sempre molto bene quale sia il punto.
La terza parola è bipartitismo. Tutta l’azione politica di Sanchez è riassumibile nel tentativo di portare indietro le lancette della politica spagnola, a quando era quasi monopolizzata da Psoe e PP. Accreditare Podemos come forza di governo sarebbe stato, quindi, controproducente da questo punto di vista.
La quarta parola è Europa. I socialisti hanno affermato più volte che il profilo programmatico di UP è inquietante (ancora) per le istituzioni europee. Si può immaginare che anche da questo versante siano arrivate pressioni notevoli.
Sanchez questo governo non l’ha mai voluto. Podemos invece l’ha cercato strenuamente, quasi disperatamente. Non solo per motivazioni disinteressate (“il bene della Spagna e delle classi popolari”), ma anche perché Iglesias e i suoi pensano che il governo sia il luogo migliore da cui rilanciare il partito.
Un partito che, negli ultimi anni, ha costruito solidissime relazioni con la società civile organizzata, tanto è vero che i due principali sindacati spagnoli hanno appoggiato dall’inizio l’idea del governo di coalizione. Tuttavia questa presenza nella società non basta. Podemos non può essere percepito come “la protesta” o solo come uno strumento di mobilitazione collettiva. Ha bisogno di mostrarsi come forza di governo affidabile ed efficace sul piano nazionale.
Tutta la strategia di Iglesias degli ultimi due anni è stata costruita attorno a questo. La mancata investitura di Sanchez è quindi una sconfitta seria. In caso di elezioni, Podemos dovrà affrontare non solo la campagna avversa dei media vicini al Psoe (come El Pais e il potente gruppo Prisa), ma anche, probabilmente, un doppio rischio: una rottura con Izquierda Unida (ora favorevole all’appoggio esterno a Sanchez), e l’irruzione elettorale del partito del suo ex numero due, Inigo Errejon. L’irruzione di Errejon corrisponde ai sogni del Psoe, che lo ritengono un fattore decisivo per sconfiggere definitivamente Podemos e avere di fronte una sinistra più moderata e flessibile.
Le responsabilità del fallimento di Sanchez, quindi, non vanno ripartite equamente. Solo una delle due parti voleva il governo. La destra gongola. I socialisti europei, una volta di più, non imparano dai propri errori, salvo poi chiamarci alla mobilitazione «contro i fascisti».
il manifesto, 28/7/2019