I pensieri che provo a mettere in ordine nascono dal mio vissuto in questo movimento, dalla partecipazione e quindi dal mio essere parte di questa insurrezione.
Ancora oggi è piuttosto difficile interpretare questo movimento che cambia di Sabato in Sabato e di Città in Città. Se però all’inizio c’era un giusto scetticismo o cautela, ora possiamo dire con certezza che non c’è alcuna natura fascista o reazionaria: a testimoniarlo dovrebbero esserlo la natura delle rivendicazioni oramai piuttosto chiare da quanto emerge dall’assemblea delle assemblee, dai tanti cartelli che vengono portati in manifestazione (referendum di iniziativa cittadina, giustizia sociale e fiscale, ecologismo), ma soprattutto dalla repressione messa in atto contro questo movimento che è riuscito a dare una battuta d’arresto allo smantellamento dello stato sociale da parte di Macron.
Infatti si tratta di una repressione pesantissima da parte del governo, della polizia e della magistratura francese: per farsi un’idea segnalo questo video https://www.youtube.com/watch?v=3MjuoDpKLfI o invito a digitare su google “gillets jaunes blessés”, nonché “LBD” (Lanceur de balle de défense, pistola che spara proiettili di gomma), come anche scoprire con quale facilità vengono usati i gas lacrimogeni su manifestanti (bambine e famiglie incluse), gas che sarebbero vietati in guerre internazionali (peraltro altamente cancerogeni), ma che vengono usati sui manifestanti; un altro elemento sono il numero di fermi, di arresti, di persone a cui è stata interdetta la possibilità di manifestare, la quantità di controlli e fermi preventivi.
Nonostante le campagne mediatiche diffamatorie (definiti fasci, poi antisemiti, poi casseur) il movimento continua a godere di un buon consenso tra i francesi e lo dimostrano (aldilà dei sondaggi, che hanno una scarsa significatività) le scene e gli incontri che si possono vivere quando si gira per la città durante una manifestazione.
Per dare un’idea, a Bordeaux, prima che sigillassero alcune aree simboliche era normale passare dalla via del commercio e vedere moltissime persone divertite fotografare e chiedere selfie ai manifestanti; non c’era paura o antipatia. Ora, quando si gira per i boulevard, si vede la gente affacciarsi alle finestre e salutare i manifestanti, qualcuno tira anche fuori il gilet giallo, lo sventola dalla finestra ricevendo l’applauso del corteo.
Quello che si vede tutti i sabati è una comunanza tra chi vive la manifestazione e che si allarga verso gli intorni, verso le zone della città attraversate dai cortei. Perché è una lotta comune, è una lotta che viene sentita come comune, nonostante qualcuno scelga di stare a casa.
Aldilà del consenso va detto che il movimento sta vivendo una crisi dettata dal non riuscire più a fare fronte alla repressione messa in campo dalle forze dell’ordine: per dare un’idea gli ultimi Sabati a Bordeaux raggiungevamo massimo i 3000 manifestanti e le FDO si potevano permettere di far volare un elicottero sopra di noi, avere come minimo 15 camionette (quelle che ho avuto modo di contare) di CRS (tipo la celere francese), più un numero non facilmente definibile di BAC (polizia più mobile che si muove in equipe più ristrette, sostanzialmente quella che fa la maggior parte degli arresti).
Sicuramente i gilets jaunes sono un movimento che ha fatto dei suoi numeri e della sua imprevedibilità (dovuta soprattutto alla sua ampia e variegata composizione) la sua forza, ed è normale che dopo 6 mesi i numeri stiano scendendo; vista anche la repressione che è stata messa in atto e vista la difficoltà per una realtà così allargata di dotarsi di un’organizzazione forte.
Il Primo Maggio, come era prevedibile, si sono di nuovo raggiunti numeri importanti, almeno 10 mila persone (anche se la CGT dopo poco si è staccata per andare a mangiare salamelle), ma la polizia ha dispiegato un dispositivo d’ordine gigantesco; per dare un’idea sono stati in grado di bloccare il lungo Garonna (riva sinistra) per una larghezza di 70 metri con un dispiegamento di circa 300 CRS (vi lascio immaginare quanti altri fossero in giro per sigillare tutti gli altri punti sensibili della città). Lo scontro era praticamente impensabile perché già da un po’ di tempo mancano equipe (gruppi) organizzati in grado di fronteggiare la polizia (soprattutto per gli arresti) e per i rapporti di forza sproporzionati.
Nonostante il numero importante non si è riusciti ad essere incisivi e colpire qualche punto centrale della città, ma, anzi, si è finiti accerchiati e bloccati in un boulevard.
Quanto insuccesso ha aperto a delle discussioni piuttosto curiose perché molta gente ha incominciato a chiedere in giro e nei vari gruppi facebook “ma dove sono i black block?” “perché non ci sono più? Adesso la polizia ci indirizza dove vuole, non riusciamo più a fare niente che riesca a mettere in crisi questo potere”. Incredibilmente un movimento che vedeva la partecipazione principalmente di pacifici si trova a prendere coscienza dell’importanza di un’azione “violenta” e decisa, per poter essere in qualche modo ascoltata.
Chi, tra i GJ, si faceva portatore di pratiche un po’ più forti come i tentativi di fronteggiare la polizia, la rottura di vetrine simboliche o anche scritte e segni sulla città, non ha mai subito particolari rimostranze dalla parte “pacifica”, si è sempre vissuta una discreta solidarietà (non troppa, perché comunque quando partivano le azioni la gente scappava per non rimanere coinvolta); spesso parlando durante i cortei chiedevo l’opinione di persone più anziane o genitori con bambini e quasi sempre la risposta è stata “prima non comprendevo e ritenevo sbagliato quello che facevano, adesso non lo farei, ma capisco i loro gesti, in effetti la loro è una collera che si scaglia contro oggetti, non sulle persone”.
Il fatto interessante risulta quindi questa coscienza che si radicalizza, nel modo di vedere le pratiche: se prima certe pratiche venivano viste con fastidio (cercando di invitare a distinguere casseur e GJ), poi si è incominciato a vederle come tollerabili, o anche parte integrante del movimento e, per finire, quando ci si è accorti dell’assenza di questa anima del movimento si è incominciato a rimpiangerla.
Aldilà del fatto che ora si sta vivendo una grande riorganizzazione, con nuove assemblee e la ricerca di nuove strategie e obiettivi (si parla molto di ritornare nelle rotonde delle strade provinciali o ai caselli autostradali), penso che un primo grande merito dei Gilets Jaunes sia stato quello di portare in piazza moltissima gente depoliticizzata, lontana dalle pratiche conflittuali e di creare e far crescere una coscienza collettiva che non si perderà in un elezione o nella morte del movimento.
Un moltiplicarsi di coscienze radicali che si contaminano e continueranno a contaminarsi, anche al di fuori delle manifestazioni: infatti i Gilets Jaunes sono un argomento quotidiano, ovunque (dall’università, al bar e al mercato).
Per quanto sia azzardato fare una lettura sociologica della composizione del movimento credo che si possa dire che a Bordeaux questa è stata la semi-rivincita della periferia, della gente centrifugata all’esterno della città dalla gentrificazione e dall’esplosione del costo della vita nel centro cittadino.
Un riprendersi il centro fisico, ma anche simbolico, diventando protagonista della narrazione mediatica e politica della città e del paese dopo essere stati marginalizzati.
Questo credo significhi la battaglia dei Gilets Jaunes di Bordeaux, una delle roccaforti del movimento, anche se ultimamente sta cedendo il passo, comunque non arretra; ora altre città stanno portando avanti con maggior forza questa lotta nella periferia dell’impero parigino: Nantes, Toulouse e Montpellier per citare quelle di cui ho racconti più vivi.
Vedremo se anche in queste città la repressione si continuerà a scagliare con la stessa forza, la cosa sicura è che la polizia incomincia ad essere in difficoltà, essere continuamente in strada per difendere il potere parigino incomincia ad essere un fardello difficile da sopportare dalle forze dell’ordine che vengono mobilitate in maniera massiccia; difficile avere dati a riguardo, ma sembrerebbe che ci sia già stata qualche defezione, messa in malattia e qualche lettera ai giornali in cui si dichiarano essere allo stremo delle forze.
Le prime crepe incominciano ad emergere e una nuova coscienza di lotta si diffonde.
Su una cosa penso di potermi sbilanciare: la prossima insurrezione sarà ancora più potente.
Bordeaux, 26/5/2019
Nicolò Molinari