All’interno dell’attuale quadro nazionale e internazionale porsi l’obiettivo del governo pare velleitario, almeno che si sia disposti a rinunciare, sul terreno della “governabilità”, al ruolo di critica al sistema capitalistico e di ricerca di un altro mondo possibile.
E fare opposizione non può essere ricondotto alla sola protesta, alla presentazione di programmi più o meno alternativi in sede istituzionale o alla propaganda mediatica.
Fare opposizione deve farsi azione sociale: “soccorso” ai soggetti deboli della società e apertura di vertenze sociali, contrasto alle regole autoritarie delle istituzioni ad ogni livello, disobbedienza civile.
Non può bastare essere seduti sui banchi della parte sinistra dell’emiciclo parlamentare e votare contro i provvedimenti del governo, non è sufficienti dissentire e proporre modifiche alle leggi del governo.
Occorre scegliere lo scontro diretto costruendo occasioni di lotta capaci di mutare nei cittadini la percezione della realtà presente, manifestare nella società l’irriducibile volontà di stravolgere le regole* nell’ambito del lavoro, in ambito fiscale, in relazione alla fruizione dei servizi sociali, sanitari e scolastici, in tema di immigrazione, di gestione e cura del territorio.
Qualsiasi presenza politica che eviti la costruzione di comunità politiche in movimento nei territori, nei luoghi di lavoro e di studio mancherebbe il compito di aprire percorsi di lotta di medio e lungo periodo come richiede lo stato di cose presente.
Qualsiasi percorso che escluda pratiche di disturbo, sabotaggio e disobbedienza alle leggi ingiuste del governo autoritario (e neofascista) mancherebbe della sua funzione essenziale che è quella di mettere sottosopra i parametri del sistema economico e politico italiano e europeo.
Se queste condizioni non sono ancora realizzate o sono attivate in parte si deve lavorare per imparare a praticarle perché sono le premesse necessarie a qualsiasi programma politico e alla costruzione di qualsiasi soggetto politico.
Se le condizioni non sono soddisfatte si passa la mano e ci si continua a dedicare alla loro costruzione, evitando il coinvolgimento diretto nelle scadenze elettorali.
Nelle elezioni locali, se c’è la forza, si possono condizionare i programmi attraverso l’apertura di un confronto sociale, altrimenti ci si può astenere o votare il “meno peggio”. Il quadro di compatibilità economiche e sociali impediscono qualsiasi sforzo riformatore e le esigenze di “governabilità” annullano le diversità programmatiche; può cambiare, forse, solo il “clima politico”, ma se non cambia (almeno un po’) il “clima” nella società a che vale?
Il compito della politica è questo: dare spazio al cambiamento della società, da esso discende poi la sua possibilità di governarla.
*preciseremo in altra occasione il significato di “stravolgere le regole…”.
marco sansoè