A Verona dal 29 al 31 marzo 2019 si terrà l’ottavo Congresso Mondiale delle Famiglie che riunisce «il movimento globale» antiabortista, antifemminista e anti-LGBTQI. A questa edizione parteciperanno associazioni, capi di stato ed esponenti politici della destra radicale, cristiana e integralista, da tutto il mondo, ma anche tre ministri del governo italiano (il ministro dell’Interno e vice presidente del Consiglio Matteo Salvini, il ministro per la Famiglia e la Disabilità Lorenzo Fontana, il ministro dell’Istruzione Marco Bussetti). E, sempre dall’Italia, ci saranno Giorgia Meloni, il senatore della Lega Simone Pillon, il presidente della Regione Veneto Luca Zaia e il sindaco di Verona Federico Sboarina. Persone e gruppi che sono per la “famiglia tradizionale” (cioè patriarcale ed eterosessuale), contro l’aborto e i diritti riproduttivi, contro i matrimoni gay e i diritti LGBTQI, contro il divorzio, gli studi di genere e l’immigrazione.
Ma per la prima volta da quando il Congresso è nato a metà degli anni Novanta, è stata organizzata una manifestazione di protesta larga: dal movimento femminista Non Una di Meno e alla quale hanno aderito molte altre associazioni, movimenti nazionali e internazionali e sindacati. (da un articolo del Il Post del 24-3-19).
Accade così che il corpo delle donne sia nuovamente il campo di battaglia su cui i rappresentanti di un potere maschile, terrorizzato dalla differenza, fanno ricadere la loro pretestuosa pretesa di ‘normalità’, per genere, orientamento e rivendicazione. Il corpo delle donne deve essere celato, nascosto, tenuto fuori dal discorso pubblico e politico. Sentiamo di nuovo parlare di case chiuse, di donne che lasciano o perdono il lavoro a causa della maternità, di “naturalità” del ruolo di madre. E quando le donne dicono NO, quando alzano lo sguardo e osano riempire lo spazio pubblico di corpi, nudi o vestiti, di pensieri, di desideri e volontà, vengono sovente violate, stuprate e uccise.
Si pretende, sulla loro pelle, una ‘normalità’ che si mostra per ciò che è veramente, cioè una ‘normalizzazione’, ogni volta che questi individui (il maschile non è a caso) parlano di divorzio (da impedire, a costo di renderlo economicamente dannoso per la parte più debole), di aborto (da impedire, a costo di rendere adottabili i feti), di violenza sulle donne, di femminicidio. Una visione della famiglia, delle relazioni, della società, normata da atteggiamenti oscurantisti e lesivi dei diritti – diritti, quindi NON negoziabili – delle donne, delle persone LGBTQI e di tutte le fasce più deboli. Ed è per questa serie di motivi che come Tavolo Femminista, aderiamo con convinzione alla protesta e alla contestazione promossa da Non Una Di Meno.
il Tavolo femminista del Coordinamento Biella Antifascista