Intorno al caso di Stefano Cucchi tutti, ora, si danno da fare per chiarire che chi ha sbagliato deve pagare, ma subito dopo si affrettano a ribadire che l’istituzione, in questo caso Carabinieri e Polizia, è sana e forte, e non può essere “processata” in quanto tale. Ma è davvero così? Gli avvenimenti di questi ultimi vent’anni direbbero di no: omertà, coperture e depistaggi sono prassi consolidata e continua!
Qui sotto un intervento di Lorenzo Guadagnucci apparso su volere la luna ( https://volerelaluna.it/ )
Gli ultimi sviluppi del caso Cucchi dovrebbero spingerci a mettere a fuoco due fenomeni emersi dal
2001 in poi: l’attitudine delle nostre forze dell’ordine, in determinate circostanze, a mentire e falsificare gli atti; la sistematica tendenza, nelle stesse circostanze, a fare muro di fronte alle richieste di trasparenza e accertamento delle responsabilità, da qualunque parte esse provengano: cittadini comuni, giornalisti, familiari delle vittime, perfino magistrati.
Il G8 di Genova in questo senso è all’origine di tutte le più recenti degenerazioni. Un evento politico e popolare enorme, gestito in modo fallimentare sotto il profilo dell’ordine pubblico, si è rivelato nel tempo una caporetto dell’etica pubblica.
Spiace doverlo ricordare, ma le giornate del 20, 21 e 22 luglio 2001 sono state una fiera del falso in atto pubblico e della calunnia. Innumerevoli persone sono state arrestate per strada ricorrendo a verbali fotocopia, con false accuse di violenza e resistenza a pubblico ufficiale. Possiamo ricordare, fra tanti altri, il caso di Arianna, fermata in un bar all’uscita dalla toilette e non per strada e mentre aggrediva gli agenti come riportato nel verbale e finita dell’inferno Bolzaneto; o quello di Marco, immortalato da un video fra i più noti di Genova: fu preso durante un innocuo sit in – e non mentre lanciava pietre – e pestato da alcuni agenti, con l’aggiunta di un calcetto sferrato (ma andato a vuoto, si giustificò lui) da un funzionario della Digos. Nell’immediato gran parte di quegli strani arresti non fu convalidata dai GIP genovesi; in seguito la magistratura civile di Genova ha inflitto numerose condanne al ministero degli Interni per gli abusi compiuti: non abbiamo mai saputo se qualcuno avesse dato un’imbeccata dall’alto o se la pratica dei fasulli verbali d’arresto per violenza e resistenza a pubblico ufficiale sia sgorgata spontaneamente in seno alla truppa…
Il caso Diaz andrebbe poi fatto studiare nelle scuole di polizia, se davvero si volesse introdurre un antidoto al veleno immesso a piene mani nel 2001 nel cuore degli apparati. Basti dire che il comunicato con il quale la polizia tentò di giustificare agli occhi del mondo la singolare operazione, mentre decine di persone erano in ospedale e le altre a Bolzaneto, è risultato falso dalla prima all’ultima parola: false le premesse dell’aggressione subita da un’auto della polizia; falso il ritrovamento di armi (mazze e piccozze prese da un cantiere edile e le molotov collocate ad arte dalla stessa polizia); falsa l’appartenenza degli arrestati al cosiddetto Black Bloc; falsa la coltellata subita da un agente (con tanto di testimoni, altrettanto mendaci); false le “ferite pregresse” degli arrestati, spediti in ospedali a colpi di calci e manganelli (anche elettrici).
Potremmo continuare, ma basti dire che nei processi Diaz e Bolzaneto i principali reati che hanno portato alle condanne di decine di agenti (in gran parte coperte dalla prescrizione) sono stati falso e calunnia. Ebbene, nel caso Cucchi, stando alle cronache, abbiamo avuto sette interventi di manipolazione delle carte ufficiali.
Considerato che almeno il blitz alla Diaz fu compiuto alla presenza e con l’intervento di altissimi dirigenti di polizia, i quali negli anni successivi hanno ottenuto protezioni (e promozioni) da parte dei vertici di polizia e dello Stato, c’è forse da stupirsi se l’attitudine a mentire e falsificare le carte ha poi fatto scuola? È lecito oggi chiedere ai vertici di polizia e carabinieri se abbiano esaminato la lezione subita e fatto qualcosa per cambiare rotta e in che modo intendano intervenire d’ora in poi?
Il secondo punto, cioè il rifiuto di agire per accertare subito e senza sconti tutte le responsabilità, non è meno grave del primo. Anche questa è una storia che viene da lontano. I pm nel processo Diaz, Enrico Zucca e Francesco Cardona Albini, parlarono a suo tempo e con molte ragioni di omertà, condotta che ritorna nel processo Cucchi.
Di fronte a ogni vicenda estrema – il G8 di Genova, ma anche la morte di persone sottoposte a custodia di polizia, da Aldrovandi a Magherini e vari altri – abbiamo assistito all’applicazione del medesimo schema, ossia la chiusura degli apparati a qualsiasi sguardo esterno, come se si trattasse di panni sporchi da lavare in casa e non di fatti gravi, potenzialmente criminosi, sui quali è necessario fare subito e bene chiarezza, nell’interesse dei cittadini e degli stessi corpi di polizia.
Proviamo a pensare alle storie appena citate e a quel che sarebbero state se polizia e carabinieri, di volta in volta, avessero agito con trasparenza e collaborando con chi cercava solo verità, ossia le
famiglie e i magistrati. Quante sofferenze risparmiate, quanta credibilità recuperata.
Nel caso Diaz c’è un dettaglio che dice tutto: il verbale d’arresto, poi risultato falso e calunnioso, fu sottoscritto da 14 funzionari e dirigenti, tutti indagati e condannati tranne uno, mai identificato perché la grafia era illeggibile e perché gli altri tredici non hanno mai fatto il suo nome. Ecco in che modo è stata concepita la collaborazione con la magistratura inquirente ed ecco spiegate le durissime critiche allo Stato italiano scritte nelle sentenze di condanna subite dal nostro paese alla Corte per i diritti umani di Strasburgo, sentenze già dimenticate e pochissimo lette. Nel caso Cucchi la denuncia confessione di uno dei carabinieri imputati ha spezzato la consegna (o forse imposizione) del silenzio che ha caratterizzato tutti i procedimenti simili avviati in questi anni, a cominciare da Genova G8.
Per concludere, se vogliamo dare un senso a quanto sta accadendo sotto i nostri occhi e nell’intento di frenare la rovinosa caduta di credibilità degli apparati, è lecito chiedere qualcosa sia al legislatore sia a chi riveste ruoli di responsabilità ai vertici dello Stato e delle forze dell’ordine: si collabori lealmente con la magistratura in tutti i procedimenti penali in corso e si sospendano gli indagati lungo l’intera catena di comando, fino ai massimi livelli; si trasferiscano ad altri ministeri i funzionari di polizia condannati nei processi per reati attinenti l’abuso di potere e la tortura; si introduca l’obbligo di indossare codici di riconoscimento sulle divise; si istituisca un organismo indipendente di controllo sull’operato delle forze dell’ordine, avviando contestualmente un’indagine conoscitiva: l’Italia non può più farne a meno.
Infine, non meno importante, si chieda scusa, ma davvero, accompagnando le scuse con atti concreti, per quanto hanno dovuto sopportare in questi anni le vittime degli abusi, i loro familiari, i cittadini tutti.
volere la luna, newsletter 10, ottobre 2018