Questo è la riflessione di Guido Viale, apparsa su il manifesto, a proposito dell’appello: Obbligo di fedeltà: per la libertà di parola e l’eguaglianza di fronte alla legge
I cinque operai della Fiat di Pomigliano che avevano inscenato davanti alla fabbrica un finto suicidio di Marchionne, fingendo che si fosse impiccato perché pentito delle sue angherie, sono stati licenziati definitivamente. Il 30 settembre al Maschio Angioino di Napoli una giornata di solidarietà
Guido Viale
Quando è morto Sergio Marchionne i media si erano profusi in lodi sperticate delle sue capacità, della sua personalità, e persino della sua moralità: ha rimesso in piedi la Fiat, ha creato un gruppo internazionale, ha introdotto un nuovo stile nel comando (maglioncini e vita riservata), era un indefesso lavoratore, ha salvato migliaia di posti di lavoro…
Pochi avevano ricordato che Marchionne ha portato la sede fiscale di Fca a Londra, quella legale in Olanda, quella operativa a Detroit e i suoi obblighi fiscali in Svizzera; che il suo reddito ammontava a 400 volte quello medio dei dipendenti; che i contratti collettivi della Fiat sono stati imposti con il ricatto; che degli 8 piani industriali presentati per giustificare un ricorso ininterrotto alla cassa integrazione a spese dell’Inps nessuno è stato mai realizzato; che (ma allora non si sapeva) per imporre un salario dimezzato ai nuovi assunti in Chrysler avrebbe corrotto i sindacalisti; e che il regime imposto agli operai ancora al lavoro in Italia è violento, arbitrario e umiliante (nello stabilimento di Pomigliano c’è una gabbia di vetro dove gli operai che non reggono i ritmi o sbagliano qualcosa devono denigrarsi di fronte ai colleghi)… E solo il Corriere del Mezzogiorno (oltre al manifesto) aveva ricordato il suicidio, accoltellandosi, di Maria Baratto, un’operaia di Pomigliano. Ma anche di quella vicenda mancava il prima e il dopo.
Il «prima» è che per sbarazzarsi degli operai più combattivi o impossibilitati a tenere i ritmi Fiat, Marchionne aveva creato a Nola un reparto confino dove li teneva in cassa integrazione permanente, o a far niente; e che tra loro i suicidi erano stati tre, e molti di più quelli tentati.
Il «dopo» è che per protesta 5 operai avevano inscenato davanti alla fabbrica un finto suicidio di Marchionne, fingendo che si fosse impiccato perché pentito delle sue angherie. I 5 erano stati licenziati per aver offeso l’onore dell’azienda e del suo top manager; licenziamento confermato dal tribunale di Nola con la motivazione che erano venuti meno all’obbligo di fedeltà verso l’azienda; che, secondo il giudice di Nola, vieta «la manifestazione di opinioni e critiche inerenti alla persona del datore di lavoro e/o dell’attività da questi svolta»: cioè di Marchionne e dei suoi metodi.
Il giudizio di appello aveva annullato quella sentenza, imponendo il reintegro (mai attuato) dei 5, ma la Cassazione l’ha confermata, ha reso definitivo il licenziamento e ha creato un precedente per tutti i futuri giudizi dello stesso genere: i dipendenti non hanno il diritto di criticare il padrone perché questo danneggia sia lui che l’azienda. È stato così aggiunto il divieto di esprimere le proprie opinioni alla lunga lista delle diseguaglianze – reddito, potere, sicurezza, riconoscimento della dignità – che separano l’onnipotenza trionfante di un manager ricco e incensato dalla miseria di un lavoratore sfruttato, perseguitato e licenziato, senza più alcuna prospettiva di lavoro e di reddito. Che crepi!
Per leggere e sottoscrivere l’appello «Obbligo di fedeltà: per la libertà di parola e l’eguaglianza di fronte alla legge», https://nolicenziamentiopinione.wordpress.com/ oppure inviare mail a: ellugio@tin.it
Il 30 settembre al Maschio Angioino di Napoli si terrà un convegno (ore 16) ed un’assemblea spettacolo (ore 21) su questi temi. Parteciperà il sindaco De Magistris.