E’ morto Alfredo Tradardi, è morto il 25 aprile. Era un mio amico, era un nostro amico, era uno straordinario amico della Palestina. Il cuore è pieno di tristezza…
Qui, un ricordo di Angelo d’Orsi apparso sulla rivista Micromega
Chi non ha conosciuto Alfredo Tradardi, ora che se n’è andato, ha perso molto. Alfredo è stato una figura rarissima, sotto molti aspetti. Un appassionato militante per la causa palestinese innanzi tutto, per la quale ha speso larga parte della sua vita, e delle sue energie, di ogni genere. Alfredo però ha avuto una biografia complessa e articolata, come suol dirsi. Una vita ricca, intensa, che è stata spezzata da una fine imprevista e improvvisa, per un morbo non grave, ma che tale è diventato, perché sottovalutato, a quanto comprendo o scoperto troppo tardi. Era nato all’Aquila, il giorno di Natale del 1936, è morto a Torino il giorno della Liberazione, del 2018. Diplomato al Liceo Classico di Ivrea, scelse poi la strada delle scienze applicate, laureandosi in Ingegneria, ottenendo un impiego, nel 1960, alla mitica Olivetti dei tempi d’oro, una fabbrica che fu un autentico laboratorio culturale, oltre che un centro di sperimentazione di un “capitalismo dal volto umano”. Alla Olivetti lavorò per un trentennio, fino al 30 novembre 1991, svolgendo ruoli di rilievo: progettista di telescriventi, coordinatore di gruppi di analisti/programmatori di sistemi informatici non solo per quella azienda, ma per altre, esterne. Fu anche direttore di filiale e direttore marketing dei sistemi di telecomunicazione Olivetti. E via seguitando, mostrando capacità gestionali, tecniche, organizzative, e relazionali, oltre che una specifica intelligenza informatica: fu da questo punto di vista un autentico pioniere. Fu anche assessore alla Cultura a Ivrea, per due volte, negli anni Settanta e nei Novanta, con notevolissimi risultati.
Sì, perché Alfredo è stato, oltre che un ingegnere informatico, un umanista, nella migliore tradizione olivettiana. E nel corso degli anni, specie dopo il pensionamento, ha indirizzato la sua esistenza in questa direzione, lui, figlio di partigiano, e studioso del movimento partigiano, specie della mitica Brigata Majella, nel suo Abruzzo, si è appassionato alla causa del popolo oppresso per antonomasia dei nostri tempi infami: il popolo palestinese. Ha creato l’ISM-Italia, l’International Solidarity Movement, che ha sostenuto in ogni modo possibile, la lotta dei palestinesi contro l’oppressione dello Stato coloniale e razzista israeliano. Ha subìto minacce, ha consumato le sue energie, ha dedicato ogni sua risorsa a questa causa nobile che via via appariva più disperata.
Eppure Alfredo non ha mai ceduto allo scoramento, non ha mai avuto la tentazione di tirare i remi in barca, e con il suo meraviglioso medaglione al collo, il suo papillon da signore vecchio stampo, di gentiluomo senza tempo, ha lottato, ha lottato sempre. Infaticabile organizzatore (l’esperienza in fabbrica gli è servita), ha tenuto assemblee, ha invitato ospiti da ogni parte d’Italia e del mondo, ha fatto il traduttore e l’interprete, ha fotografato e filmato, ha scritto, e pubblicato, con una costanza, con un coraggio, con una determinazione che hanno pochissimi esempi. Ha sostenuto il BDS, il boicottaggio accademico verso le istituzioni israeliane, come una forma indispensabile, nonviolenta, di lotta contro l’oppressore del popolo palestinese; non ha avuto timore di chi esercitava pressioni, di chi cercava di impedire in ogni modo che portasse avanti la sua azione: amministrazioni locali, istituti (anche quelli che si fregiano della pomposa e quasi sempre immeritata qualifica “della Resistenza”), accademie, teatri. Chissà se i dirigenti di codeste istituzioni proveranno mai vergogna per questo.
Voglio ricordare gli ultimi suoi lavori a stampa, innovativi e forti, come “Gaza e l’industria israeliana della violenza” e “Esclusi. La globalizzazione neoliberista del colonialismo di insediamento” (entrambi con Enrico Bartolomei e Diana Carminati, pubblicati da Derive/Approdi, 2015 e 2017). Ultime occasioni di lavoro con Diana, la tenace e tenera compagna lottatrice al fianco di Alfredo: come “clerici vagantes”, Diana e Alfredo, a loro spese, sobbarcandosi fatiche inaudite portavano in giro per l’Italia questi “prodotti”, ed altri da loro pubblicati o da loro tradotti o diffusi (basti ricordare che loro ci hanno fatto conoscere e incontrare un gigante come Ilan Pappe), cercando di ridestare i dormienti, rianimare gli indifferenti, esortare i timorosi. Vik Arrigoni, un eroe del nostro tempo, era un suo amico, e Alfredo ha fatto molto per onorarne la memoria.
Non troppo tempo fa era mancato il fratello di Alfredo, Vincenzo, già professore di Medicina a Parma, anch’egli uomo di scienza di lotta. E ora se n’è andato Alfredo, lasciandoci sgomenti. Il vuoto che Alfredo Tradardi lascia è praticamente incolmabile: era una forza, Alfredo, e nella sua azione pro-Palestina, sommava il lavoro di molte persone. E proprio mentre il governo israeliano sta perpetrando un’altra strage sistematica, nei venerdì della “Marcia del ritorno”, sui confini della Striscia di Gaza, esce di scena uno dei più indomiti sostenitori della lotta palestinese, del diritto di un popolo a liberarsi dell’oppressore. Se un dio esiste, è un dio cieco o persino ingiusto. Gli israeliani hanno creato il Giardino dei Giusti, a Gerusalemme, e decidono come Minosse chi merita questa qualifica: coloro che hanno aiutato il popolo ebraico, o coloro che semplicemente sostengono Israele o possono essere propagandisticamente usati come icone dello Stato ebraico. Altre città nel mondo, Italia compresa, hanno ripreso l’idea, ma quasi nella totalità dei casi i “giusti” sono coloro che hanno denunciato o lottato contro la Shoah, o, in qualche caso, contro altri genocidi. Nessuno pensa alle vittime palestinesi, o a coloro che hanno lottato per difendere quel popolo oppresso. Nel mio personale Giardino dei Giusti del nostro tempo, con pochi altri, c’è, e ci sarà, Alfredo Tradardi.
27 aprile 2018, da Micromega