Il nostro compito…
… c’è chi chiama riforme le manovre che affrontano la crisi del lavoro con incentivi e sgravi fiscali alle imprese che stabilizzano il lavoro precario, spesso mascherato da apprendistato, tirocini o stages; riducendo i diritti sopprimendo la protezione dai licenziamenti dell’art.18 e permettendo l’introduzione di strumenti di controllo dei lavoratori sottratti alla contrattazione sindacale;
… c’è chi chiama riforme il bonus di 80 € e la pratica di riduzione delle tasse, in sostituzione di una politica strutturale di redistribuzione della ricchezza e di rafforzamento ed estensione dei servizi pubblici gratuiti;
…c’è chi chiama riforme la riduzione delle tasse attraverso una tassazione unica che favorisce i ricchi e penalizza il ceto medio e i poveri, riducendo inevitabilmente i servizi;
… c’è chi chiama riforme le “politiche securitarie” che finanziano e rafforzano le forze dell’ordine, e parlano di emergenza come l’eco stupida di un paese in cui tutti i reati sono in diminuzione, meno quelli contro le donne che accadono “in famiglia” e sul posto di lavoro e gli incidenti e le morti sui luoghi di lavoro;
… c’è chi chiama riforme il rinnovo dei contratti del pubblico impiego che, fermi da 9 anni e già in scadenza, offrono un aumento salariale che non supera il 3,48% delle retribuzioni;
… c’è chi chiama riforme le manovre contro la “emergenza immigrazione” che non esiste; senza un piano o un progetto di accoglienza, ma con la costruzione di un sistema di respingimenti garantito dal finanziamento del sistema armato delle motovedette libiche, dei campi di concentramento in Libia e invia denaro e militari al confine del Niger al grido di “aiutiamoli a casa loro!”;
… per qualcuno forse è una riforma persino l’aumento delle spese militari: nel bilancio preventivo del 2018 è del 4% in più rispetto al 2017; nelle ultime tre legislature, ha visto una crescita del 26% !
Basta intenderci sul significato di “riforme” assunto da tutti gli schieramenti politici più importanti !
Quasi nessuno parla di diritti e di uguaglianza sociale ma molti propongono “riforme” della Costituzione in chiave centralista e autoritaria.
Nessuno ha un piano di politica economia di medio periodo: non si propongono investimenti per il riassetto del territorio e della sua sistemazione idrogeologica o il monitoraggio e la ristrutturazione antisismica del patrimonio edilizio o il censimento e la cura del patrimonio artistico nazionale o il rilancio dell’istruzione pubblica gratuita per tutte e tutti.
Non si può fare perché il sistema finanziario europeo e mondiale, BCE e FMI, governa le politiche economiche nazionali togliendo l’autonomia politica degli Stati attraverso il ricatto del debito pubblico.
Non si può fare perché i governi non intendono mettere in discussione le regole del gioco e si inchinano o si adeguano alle ricette neoliberiste alle quale ci si può opporre solo scardinando le regole, le gerarchie e le priorità.
Non c’è “governabilità” praticabile, ma solo adesione alle volontà che dall’alto schiacciano i bisogni della maggioranza della popolazione a favore di una minoranza che si arricchisce o salvaguarda la propria permanenza al potere.
Ecco allora che l’obiettivo diventa quello di aprire una stagione di lotte di lungo periodo per uscire dalla dimensione emergenziale e cogliere gli elementi utili per una proposta politica strutturata, capace di tenere insieme lavoratori, disoccupati, precari, migranti e istanze sociali (Centri sociali, Comitati, Sindacati, comunità e associazioni).
I temi prioritari sono:
• la riduzione generalizzata dell’orario di lavoro, a parità di salario, per le categorie industriali e della distribuzione;
• un piano pluriennale per la costituzione del “reddito di base incondizionato”;
• l’abolizione del “reato di clandestinità” accompagnata da una politica “pubblica” di accoglienza dei migranti;
• la predisposizione di piani per la riqualificazione del patrimonio edilizio nazionale, dei beni ambientali e di quelli artistici e culturali, con il coinvolgimento dei territori;
• l’allargamento della “pratica democratica” con la partecipazione della popolazione alle decisioni di spesa nell’ambito territoriale (i bilanci partecipati)
Per favorire questa azione è indispensabile avviare nei territori forme di inchiesta utili per una ricognizione dei bisogni e delle potenzialità. Una mappatura delle emergenze sociali, ambientali e culturali distribuite sul territorio, sulle quali aprire vertenze, attraverso l’azione indispensabile delle popolazioni locali… e con essa la mappatura di tutti i Comitati di lotta (di vario tipo: ambientali, locali, per la casa, di precari, di migranti, comunità resistenti, ecc.) presenti in Italia.
Predisporre una rete di contatti tra queste realtà in lotta e i Centri sociali, le associazioni che agiscono nei territori. Aprire luoghi virtuali dove possano essere condivise le informazioni e le esperienze.
Costruire, a livello regionale e nazionale, momenti di confronto e scambi di esperienze, per individuare elementi comuni, differenze e possibili forme di mutua collaborazione, per la realizzazione di un fronte attivo nazionale.
Il nostro compito è quello di far valere la volontà di “ciò (e di chi) sta sotto”: favorire la ricostituzione di aree, comunità e movimenti che si riprendano la democrazia che gli è stata scippata dalla “crisi della rappresentanza”, attraverso le pratiche della partecipazione solidale alla politica ma… questo è possibile farlo solo fuori dalle istituzioni e contro il “palazzo”.
Potremmo esercitare il nostro importante diritto di voto, si potrebbe anche partecipare alle elezioni, ma in tutti i casi si deve essere consapevoli che la crisi della democrazia rappresentativa non è un incidente ma una tendenza politica dell’attuale, e ancora lunga, fase economica e sociale.
A questo noi dobbiamo rispondere favorendo la riorganizzazione di aggregazioni capaci di tenere insieme la gestione dei bisogni e l’azione politica autorganizzata, per favorire la diffusione e il radicamento dei conflitti.
Bisogna avere il coraggio di accettare che, in questa fase, altre sono le priorità. Il tempo e le risorse, dedicate a fare politica all’interno delle istituzioni saranno energie sottratte alla costruzione paziente di un processo che deve avere come protagonisti le persone che stanno in fondo e i loro bisogni.
Voterò anch’io, per non rinunciare ad un diritto conquistato faticosamente.
Voterò per la sinistra antagonista perché ha scelto di stare con gli ultimi, con quelli che non hanno voce, ma voterò con la consapevolezza che in politica le cose importanti sono altre!
Biella, febbraio 2018
Marco Sansoè