Un uomo, una storia, di Fausto Bertinotti
Valentino Parlato 1931-2017. L’apparente disincanto di Valentino, in questa o quella vicenda politica, era in realtà la tenace volontà di far vivere il gramsciano «provare e riprovare» che deve essere la consegna del rivoluzionario.
Non è solo la condivisione di una lunga storia comune che promuove un sentimento forte di privazione di fronte alla scomparsa di Valentino Parlato. C’è qualcosa che ti lascia, che lascia la scena che continuiamo a calcare, e che oggi è però così diversa da quella segnata da quella storia, che non sembra più colmabile.
È forse la prima volta che ciò accade nella storia di questo lungo dopoguerra solo ora terminato.
Fino a ieri, al dolore per la perdita di un compagno, per la perdita del suo contributo alla politica e della sua umanità, si univa la convinzione che altri ne avrebbero proseguito il cammino, come in un eredità accolta. Ora, invece, è come se una specie umana, politica, culturale uscisse di scena insieme ad ogni suo protagonista.
Valentino Parlato ce lo dice in particolare. Non c’è nulla di più falso della descrizione di queste personalità che hanno fatto camminare una grande (e terribile) storia, come di uomini e donne votate solo al sacrificio per la causa e formate come da un unico calco, quello caratteristico di quella storia.
Con la sua vita, Valentino Parlato ha falsificato, nel modo più radicale, questa tesi di comodo. Una scelta di vita, secondo il titolo del libro di un leader a lui caro, non solo non ne ha compresso la ricchezza che essa poteva contenere, ma l’ha esaltata.
Comunista Valentino è stato interamente, tanto da non potere essere definito diversamente. Eppure quanta e quale umanità propria, originale, irriducibile alle altre c’è stata nella sua vita. Essa è entrata a far parte, senza mai rinunciare ad essere se stessa, di quella comunità di donne e uomini con cui Parlato ha intrapreso il cammino per cambiare il mondo, per liberare l’umanità dallo sfruttamento e dall’alienazione capitalista. Il conflitto che c’è stato tra i due termini, e che è il sale della terra, è irrinunciabile al fine di far convivere l’appartenenza e la libertà, l’impegno comune e una ricerca mai appagata.
Questa curiosità lo ha condotto su sentieri impegnativi e non scontati, si pensi, per tutti, a quelli indicati dalle frequentazioni con protagonisti del pensiero critico del lavoro vivo e dell’economia, da Federico Caffè a Claudio Napoleoni. Ma questo raffinato intellettuale si è sporcato le mani, non il cuore e la mente, per attraversare concretamente e direttamente la storia del ‘900.
Curioso destino quello che ha condiviso con i compagni di lotta e di pensiero più vicini. Sono stati comunisti eretici, e coraggiosamente eretici, quando era difficile quanto necessario esserlo. Quando però quel mondo, che in Italia il PCI aveva contribuito a far vivere, è finito, contro una stupida ma forte e diffusa damnatio memoriae, essi hanno voluto riflettere su ciò che è andato perduto e non avrebbe dovuto esserlo per ricominciare la grande contesa.
L’apparente disincanto di Valentino, in questa o in quella vicenda politica, era, a me è sembrato, in realtà la tenace volontà di far vivere il gramsciano «provare e riprovare» che deve essere la consegna del rivoluzionario.
Il manifesto è stata la sua casa di elezione. Del manifesto è stato fondatore e permanente rinnovatore, un interprete lucido e fedele nella sua irriducibile cifra. Insieme a Rossana Rossanda, a Luigi Pintor, a Lucio Magri e ai protagonisti di questa storia ha costituito un riferimento per tanti e per tanto tempo.
Un uomo e una storia, dunque. Un uomo che ci mancherà; una storia che come diceva Franco Fortini dell’Internazionale, «fu vinta e vincerà».
il manifesto, 4/5/2017