Accordo con la Libia sulla pelle dei migranti!


migranti-libia-accordo-gentiloniOltre l’attendibilità dell’accordo con la Libia…, questa scelta conferma il completo adeguamento dell’Italia alle politiche europee sull’immigrazione. Questo accordo faticherà a funzionare per l’instabilità e la scarsa autorevolezza del governo libico, e produrrà disastri tra le popolazioni in fuga dall’Africa sub sahariana, dal Corno d’Africa ma anche dal Medio Oriente.

Le condizioni in cui sono trattenuti i profughi africani in Libia sono spaventose, lo affermano preoccupate tutte le Organizzazioni umanitarie e le Ong internazionali: incarcerazioni arbitrarie, pestaggi, torture, sottrazioni di avere personali e dei documenti, pesante sfruttamento lavorativo e riduzione in schiavitù…

Il patto con la Libia è scellerato: conferma la trasgressione del diritto internazionale e del diritto d’asilo, l’indifferenza nei confronti delle condizione concrete di esuli, profughi e migranti. L’ipocrisia delle istituzioni rischiano di favorire una catastrofe umanitaria!

Per opporci a questo disastro e affrontare il problema ribadiamo le nostre proposte:

  • apertura immediata di canali umanitari gestiti a livello europeo e nazionale in accordo con i paesi di provenienza;
  • superamento degli accordi di Dublino per la libera circolazione in Europa di esuli e profughi;
  • abolizione del reato di clandestinità
  • piani nazionali e europei di accoglienza e inserimento dei migranti;
  • costituzione di una Agenzia nazionale per i migranti che gestisca direttamente l’accoglienza e l’inserimento dei migranti sul territorio nazionale.

Qualsiasi altra strada provocherà danni irreparabili alle persone migranti e introdurrà tensioni sociali pericolose e in grado di incidere drammaticamente sul piano degli equilibri politici nazionali e internazionali!

Di seguito un intervento di Luigi Manconi, apparso su il manifesto, a proposito del recente accordo Italia-Libia

marco sansoè

Memorandum Libia. Il diritto d’asilo è scomparso   di Luigi Manconi

“Cooperare per individuare soluzioni urgenti alla questione dei migranti clandestini che attraversano la Libia per recarsi in Europa via mare, attraverso la predisposizione dei campi di accoglienza temporanei in Libia, sotto l’esclusivo controllo del Ministero dell’Interno libico, in attesa del rimpatrio o del rientro volontario nei paesi di origine”: questo è l’obiettivo indicato. E a tal fine si dovrà lavorare perché «al tempo stesso i paesi di origine accettino i propri cittadini” e sottoscrivano “con questi paesi accordi in merito”.

Bastano queste parole del Memorandum firmato l’altro ieri dal presidente del consiglio italiano Gentiloni e dal premier libico Fayez al Serraj (che, ricordiamoci, governa su una parte sola di quel territorio) a prefigurare scenari non rassicuranti su quanto potrebbe accadere a partire dalle prossime settimane.

Seppure trascuriamo per un attimo l’ovvio scetticismo circa la realizzabilità di accordi di cooperazione nel contesto libico attuale, totalmente precario e privo della benché minima prospettiva di stabilizzazione in tempi brevi, si deve comunque entrare nel merito del contenuto del Memorandum.

Il quadro che quelle parole evocano non richiede uno sforzo d’immaginazione, ma piuttosto un esercizio di memoria, dal momento che il futuro prevedibile è stato anticipato da quanto già accaduto nell’ultimo decennio. Conosciamo le condizioni dei centri temporanei in Libia dai racconti di quanti sono sopravvissuti, nonostante i trattamenti disumani e le sopraffazioni subite a Sebah, nel Sud, o a Sciuscia, al confine con la Tunisia. E conosciamo nei dettagli più dolorosi quanto accade ora in Libia, su un territorio fuori dal controllo di qualsiasi governo, alle migliaia di persone eritree, somale, nigeriane, sudanesi, gambiane e di molti altri paesi africani, prima che raggiungano i barconi diretti verso le nostre coste. Racconti crudeli, che si susseguono tutti uguali da mesi e da anni e che rappresentano, da soli, la premessa ineludibile che impone di considerare inaccettabile, oltre che inattuabile, un accordo col governo libico per il controllo e la gestione dei flussi migratori.
Valutazioni condivise da Unhcr e da Oim, nonostante il loro coinvolgimento nel piano della Commissione europea discusso ieri nel corso del vertice di Malta.

Le due organizzazioni internazionali sostengono che è prematuro e rischioso pensare a dei centri sul modello hotspot nella Libia attuale e che si devono creare, innanzitutto, corridoi umanitari sicuri e servizi ricettivi appropriati dove il governo libico possa “registrare i nuovi arrivi, sostenere il ritorno volontario, esaminare le richieste di asilo e offrire soluzioni ai rifugiati”. Ed è sicuramente questo l’aspetto più delicato: una strategia tutta finalizzata a bloccare l’immigrazione cosiddetta “clandestina” non lascia spazio alla tutela dei diritti e alla protezione internazionale.

Nel Memorandum siglato l’altro ieri a Roma la parola asilo non compare: e non c’è alcun riferimento a quanti, all’interno dei flussi che partono dalle coste libiche, fuggono perché in pericolo di vita, perseguitati e bisognosi di soccorso e tutela.

La questione migratoria non può essere affrontata dall’Italia e dai paesi europei se non partendo dai principi di diritto internazionale su cui si basano le nostre democrazie. Abdicare a quei principi vuol dire rinunciare di fatto alla propria storia e mettere in discussione l’intero sistema di valori a cui si ispirano gli stati di diritto. L’orizzonte non può essere così angusto: davvero per bloccare i flussi che da qui a poche settimane riprenderanno ancora più intensi siamo pronti a rinchiudere centinaia di migliaia di persone nei campi libici? E’ davvero sufficiente impegnare dei fondi per finanziare paesi africani che sappiamo essere instabili e fragili, quando non apertamente dispotici o totalitari? Basta puntare solo sulla cooperazione in materia di sicurezza e controllo della frontiera, mettendo in secondo piano lo sviluppo economico e democratico di quei paesi?

Dieci anni fa, a contestare un accordo con la Libia non troppo dissimile, fu un piccolo pugno di parlamentari (i radicali, Savino Pezzotta, Furio Colombo, e pochi altri). Possiamo sperare che quegli anni siano bastati a veder moltiplicato quel numero allora così esiguo?

il manifesto, 4/2/2017

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