Riportiamo un breve intervento di Paolo Cacciari, che condividiamo ampiamente, apparso su il manifesto, a proposito del “reddito di base incondizionato” o “reddito d’esistenza” o…
E’ questo il tema centrale di qualsiasi azione politica indirizzata verso una nuova politica economica e del lavoro, insieme alla riduzione generalizzata dell’orario di lavoro.
Liberare il tempo attraverso la riduzione del lavoro non è un modo per assecondare le tendenze attuali del capitalismo ma una pratica utile a redistribuire le risorse, restituire la ricchezza sociale prodotta, aumentare gli occupati, migliorare la qualità del lavoro e liberare il tempo personale per un diverso “modo di vivere”. Un passo verso “un altro mondo possibile”.
Reddito d’esistenza, di Paolo Cacciari
Reddito di base o d’esistenza.
Capisco che in un paese – unico in Europa – dove alle famiglie non è garantito nemmeno un reddito minimo sia difficile parlare di reddito di base incondizionato a tutti gli esseri umani esistenti. Ma nondimeno tale rivendicazione sarebbe in grado di ridare senso politico e connotazione sociale alle forze che desiderano rimanere nella lunga scia del Movimento Operaio.
Primo, perché si rivolge direttamente ai giovani, alle donne a quant’altri l’attuale sistema economico categorizza, frammenta, discrimina, marginalizza ed esclude.
Secondo, perché riconcettualizza ricchezza nazionale come patrimonio sociale collettivo, non riservato solo ai “privilegiati” a cui è concesso di avere un lavoro decentemente retribuito.
Terzo, perché afferma che un lavoro è davvero emancipatore, soddisfacente e creativo solo se è libero da coercizioni e ricatti.
Quarto, perché pensa al lavoro umano come potenza collettiva culturale – l’analogo del Sole in natura -, non solo e tanto come forza lavoro individuale scambiabile con le leggi del diritto commerciale.
Quinto, perché finalmente cominceremmo a dare un seguito economico concreto ai sacri principi costituzionali di uguaglianza, almeno alla nascita.
Sesto, perché apre la possibilità ad un «esercito di riserva» di donne e di uomini, oggi tenuti forzatamente inattivi, di impegnarsi fattivamente nelle attività basilari di cura di sé, degli altri e dell’ambiente. Attività che oggi non vengono svolte non per mancanza di volontà, ma di un sostentamento. Parafrasando Atkinson potremmo definirlo “reddito di volontaria co-partecipazione al benessere comunitario”.
Settimo, perché il finanziamento del reddito di base si realizzerebbe con un’operazione di equità fiscale (evidentemente, coloro che hanno già un reddito superiore a quello di base restituirebbero quanto avuto attraverso un aumento delle tasse).
Mi rendo ben conto che il reddito di base o di esistenza allude ad un sistema economico e sociale (e ad un ‘idea stessa di cittadinanza) ben diverso da quello esistente. Ma se le sinistre non fanno queste cose, che sinistre sono?
il manifesto, 2/2/2017